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Martedì 22 Novembre 2011
Casa in fiamme a Ponte Chiasso
Due gli imputati a processo
Il rogo rese inagibile un condominio di via Vela, costruito a ridosso della rete di confine. Un testimone: «Uscimmo sul pianerottolo appena in tempo. Neppure un minuto più tardi il pavimento è crollato»
COMO - «Mi svegliai durante la notte, verso le tre del mattino, perché c'era odore di fumo. Rimasi un po' in ascolto, poi iniziarono a saltare le piastrelle per il calore. Allora svegliai mia moglie e i bambini. Dormivamo tutti insieme, nello stesso locale. Uscimmo sul pianerottolo appena in tempo. Neppure un minuto più tardi il pavimento è crollato».
Ahmed Abdel Salam Alì, cittadino egiziano di 35 anni, ha ricostruito ieri mattina in tribunale, davanti al giudice Gian Luca Ortore, l'epilogo drammatico dell'incendio che il 17 luglio del 2008 rese inagibile un condominio in via Vela, a Ponte Chiasso, una delle strutture in assoluto più fatiscenti del quartiere, costruita a ridosso della rete di confine e all'epoca occupato da diverse famiglie di stranieri.
Di quella devastazione, con l'accusa di incendio colposo, sono imputati due stranieri, Fouad El Khadali, nato a Casablanca, 44 anni, assistito dall'avvocato Antonio Radaelli, proprietario dell'appartamento da cui scaturirono le fiamme, e Abdelbassat Guetari, 40 anni, nazionalità tunisina, inquilino del bilocale, che occupava da solo con un regolare contratto d'affitto.
El Khadali risulta irreperibile (probabilmente è rientrato in Marocco), Guetari, invece, ha voluto essere presente in aula anche ieri, per ascoltare le contestazioni che gli vengono mosse. Secondo il pm che ha condotto l'indagine (Simone Pizzotti), l'appartamento era «sprovvisto di allacciamento elettrico ed in cattivo stato di manutenzione», tanto che l'inquilino «utilizzava pericolosi mezzi di fortuna (allacciamenti volanti alla corrente elettrica, candele, bombole a gas) per le esigenze della vita quotidiana». L'effetto, come si legge nel capo di imputazione, fu quello di avere provocato o agevolato l'incendio dell'appartamento, «incendio che si propagava ad altre parti dell'immobile».
L'accusa poggia soprattutto sull'esito di una consulenza tecnica affidata all'ingegner Rodolfo Perrone, a quanto pare piuttosto "possibilista" sulle cause: l'ingegnere certificava il fatto che la porta d'accesso al pianerottolo era divelta e inutilizzabile (lasciando così intravedere la possibilità che chiunque, volendolo, avrebbe potuto entrare) ma soprattutto scrive, a chiare lettere, che il rogo potrebbe essere scaturito sia da un comportamento colposo (candela o sigaretta non spenta), sia da un comportamento doloso, da parte di ignoti.
Ieri l'avvocato Bianchi, controinterrogando uno dei testimoni (Ahmed) ha cercato di farsi spiegare se qualcuno fosse mai entrato nell'appartamento di Guetari. Nel condominio si diceva che quest'ultimo vivesse senza collegamenti alle reti di gas e luce (circostanza che l'imputato smentisce), e che per questo si servisse di candele, ma a quanto pare nessuno sarebbe stato in grado di certificarlo, oltre i "si dice", accertandolo di persona. Se davvero Guetari fosse stato sprovvisto di gas e luce, allora l'utilizzo di candele sarebbe plausibile. Contrariamente, il quadro degli indizi nei suoi confronti, ne uscirebbe ridimensionato. Il processo è stato rinviato al prossimo 6 marzo.
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