Il nome esatto non lo abbiamo mai scoperto, ma quando eravamo bambini ci giocavamo un sacco.
Era una tavoletta divisa in tanti quadrati, ogni quadrato un numero e una casella vuota. L'obiettivo era semplice, banale persino: spostarli e rispostarli finché dal caos si arrivava a metterli in fila, dall'uno al ventiquattro.
Non un compito arduo. Era sufficiente l'impegno medio di qualsiasi bimbo che avesse compiuto i sei anni e non confondesse l'8 con un paio di occhiali al contrario. Proprio per questa semplicità di comprensione potremmo consigliarlo ai politici di Como, affinché lo prendano a modello per sistemare una volta per tutte il patrimonio infinito e sprecato di una città che non trova il bandolo della matassa neppure quando in mano ha un capo del filo. La casella vuota, che permette gli altri spostamenti, c'è già. Nel giorno in cui cascano dal cielo le tegole dell'ennesimo edificio pubblico mal tenuto, viene presentato l'ex distretto militare che diventerà la nuova caserma dei carabinieri, che a loro volta lasceranno lo storico comando di via Borgovico, dove andrà la Provinciale, che libererà gli spazi di via Sirtori. E così via, di trasloco in trasloco, in una sorta di fiera dell'est con "il bue che bevve l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane che morse il gatto che uccise il topo mio padre comprò". Unica differenza è che il topolino non è costato proprio due soldi, bensì otto milioni di euro.
Assai meno comunque di quelli che occorrerebbero per sistemare tutto il resto, compresi palazzi storici dal valore sterminato ma diventate nel frattempo catapecchie fradice. Come l'ex carcere di San Donnino, monumento all'incuria e soprattutto all'incapacità dei comaschi di programmare qualsiasi cosa che si trovi un pollice più in là del proprio tornaconto.
Ogni tre per due, ogni tre per uno anzi (prima Tremonti, oggi Monti), ci propinano liste lunghissime di beni immobili di proprietà dello Stato, da mettere in vendita per racimolare qualche milione di euro. Hanno trovato persino un nome buffo - oltre che offensivo della buona lingua italiana: "cartolarizzazioni" - senza ricavarne il becco di un quattrino. Anche perché altrettanto folcloristica è la scelta dell'elenco, con all'asta pure l'isola Comacina, compresi resti medioevali ed approdo a lago.
Tante scene, tante fanfare per non combinare un fico secco, mentre basterebbe trovarsi attorno a un tavolo, con una piantina della città, e decidere una volta per tutte cosa va in un posto e cosa farne di quell'altro. Lo sforzo, prima che economico, dovrebbe essere di idee, di buon senso, per sfruttare ciò che c'è di buono e giace abbandonato o mal utilizzato.
Prendiamo la Casa del fascio. Per la guardia di finanza è funzionale quanto avere invece delle auto di pattuglia un monociclo. Cosa ci vuole a spostarne il comando altrove e trasformare l'edificio in spazio pubblico, magari espositivo, o comunque a uno scopo più adatto allo scopo per cui era stato costruito? Niente, pochissimo. Basta decidere e farlo. Due verbi (decidere e fare) che i nostri politici neppure conoscono di striscio.
Giorgio Bardaglio
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