Volevano stupirci con effetti speciali e colori ultravivaci, quando sarebbe bastato fare il lavoro per il quale erano stati scelti: amministrare la città. Anche perché gli effetti speciali si sono trasformati in macerie d'amianto e muri modello Postdamer Platz. E, a parte il nero-rabbia dipinto sul volto dei comaschi e il bianco-neve-non-spalata distribuito per le strade del capoluogo, il solo colore vivace lo ha regalato la passeggiata verde-sintetico di Zambrotta, pezza estiva al pasticcio paratie.
I risultati del questionario proposto dalla lista civica "Per Como" (che pubblichiamo a pagina 9) pur non rappresentando un lavoro statisticamente apprezzabile, con le sue 1300 risposte aiuta però a tracciare una mappa dei desideri e dei sogni di coloro che abitano una città che si sente tradita.
Tradita, soprattutto, perché ciò a cui aspirano le donne e gli uomini che la abitano e che la vivono non è un'irraggiungibile utopia, ma l'abc di ogni buon amministratore. Strade e marciapiedi che, anziché ispirarsi al modello di un formaggio svizzero lo facessero a quello degli asfalti cantonali; giardini pubblici vivibili, curati e a misura di famiglie, più che di spacciatori e sbandati; parcheggi e trasporti pubblici destinati a non albergare gli incubi notturni dei pendolari.
Tra i comaschi che hanno risposto al questionario solo un risicato 16% ha promosso l'attuale amministrazione, ritenendo che Como funzioni bene. Per tutti gli altri l'esperienza è tra il rivedibile e il disastroso. Al punto che alla futura giunta e al futuro sindaco viene consegnato un libro dei sogni che si limita a un ritorno alla normalità. E che non suona impossibile o irrealizzabile: più servizi alla persona, più piste ciclabili, trasporti migliori, potenziamento della raccolta differenziata, il tentativo di puntare sulle energie rinnovabili.
Anche le vie d'uscita ai nodi che l'attuale maggioranza è stata incapace di sciogliere suonano abbordabili: per la ex Ticosa verde, servizi o un parcheggio; per il San Martino un parco o, qualora il campus dovesse restare un sogno irraggiungibile, un'area destinata allo sport. Risposte ragionevoli. Semplici. Quasi banali. Forse la colpa più grande di questi otto anni di Bruni è aver tolto ai comaschi la voglia di sognare in grande. Gli errori e i troppi passi falsi hanno rubato il coraggio di pensare a una città con un orizzonte più vasto rispetto l'ordinaria amministrazione. Se un Comune non sa asfaltare una strada, come può risolvere problemi più seri?
Le promesse tradite della Ticosa e l'inutile calvario del lungolago, ma anche le vane parole spese per il campus universitario che non sorgerà mai, per una viabilità che non collassi al primo tamponamento, per un metrò leggero che a citarlo ancora vien da ridere per non piangere, hanno smorzato l'entusiasmo, spento l'ottimismo e soprattutto ucciso la fiducia nelle capacità dell'amministrazione.
E la rabbia, assieme al senso di tradimento, si fanno sconforto se si pensa che l'attuale sindaco, un po' per carisma, un po' per preparazione, un po' per i numeri sui quali poteva contare, poteva essere la persona giusta per prendere decisioni coraggiose e portarle fino in fondo. Inutile sottolineare che, così, non è stato.
Questa città merita di più. Merita un sindaco e amministratori che sappiano restituirle la voglia fare un sogno più ambizioso delle strade senza buche.
Paolo Moretti
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