La scure del Governo Monti si è abbattuta anche sul Consorzio dell'Adda, che dagli anni del fascismo gestisce la diga di Olginate e, di conseguenza, regola il livello del lago. Nel decreto varato ieri dal consiglio dei ministri spunta anche, all'articolo 16, la soppressione dell'Ente che ha un bilancio di circa 700mila euro l'anno, quasi totalmente coperto dai canoni versati dai grandi colossi dell'energia e dell'agricoltura che beneficiano dell'acqua del lago, in realtà molto simile a una grande diga.
“La Provincia” ha denunciato il grande business del Lario, stretto tra le grandi centrali della Valtellina e gli enormi interessi di valle, quantificati in centinaia di milioni di euro.
Como e tutti i Comuni rivieraschi sono stati relegati al ruolo di Cenerentola, senza però il lieto fine del principe azzurro e del… «e vissero felici e contenti». La Regione incassa 11 milioni di euro dai canoni, quasi uno il Consorzio, e i cittadini che subiscono gli effetti della regolazione telecomandata - danni alle sponde, alla fauna ittica, alle darsene, alle infrastrutture - si ritrovano ogni anno solo con una manciata di euro (17mila) che non basta nemmeno a buttare nel lago qualche pesciolino per rimpiazzare quelli mai nati perché le uova sono state distrutte dalle oscillazioni dell'acqua.
L'addio al Consorzio dell'Adda è una buona o una cattiva notizia per i comaschi? Al di là dei possibili risparmi che si verificheranno dall'accorpamento in un unico Consorzio dei grandi laghi prealpini, la sensazione è che il nodo vero non sia questo. Sul tavolo resta infatti quanto mai aperta la partita delle compensazioni e di una gestione della ricchezza acqua che porti benefici alle popolazioni, non soltanto alle multinazionali. Non solo. Il super Consorzio gestito dal ministero rischia di allontanare ancora di più gli Enti locali da una partita che dovrebbe vederli come protagonisti, e non come spettatori maltrattati. La competenza vera, in un Paese che per anni - da destra a sinistra - ha sbandierato la parola “federalismo” avrebbe dovuto essere destinata, una volta per tutte, alla Regione Lombardia. Lasciando la stanza dei bottoni - nel vero senso della parola, visto che si tratta dell'apertura e della chiusura della diga di Olginate - a Roma, non solo i Comuni non hanno più voce in capitolo, ma neppure le Province e la Regione. E dire che solo a luglio il presidente del Consorzio dell'Adda e capo dell'ufficio legislativo del ministero dell'Ambiente, Massimiliano Atelli, aveva ammesso: «Le norme sono degli anni Trenta, ignorano i Comuni. Serve una nuova legge».
L'unica speranza, per il Lario Cenerentola, sta proprio nelle norme. Il decreto dovrà arrivare in aula - sia alla Camera sia al Senato - per essere discusso e votato. E questa può essere l'occasione per accendere i riflettori sul grande affare dell'acqua. Dovranno essere innanzitutto i parlamentari, al di là delle bandierine politiche e dei personalismi, a fare squadra e a cercare di trasformare l'addio al Consorzio-carrozzone in un'occasione per il Lario aumentando i canoni e facendo in modo che arrivino, a chi sul lago vive e ne subisce i danni. Non si chiede un regalo di Natale, ma di dare giustizia e dignità a un intero territorio. È arrivato il momento che i rappresentanti dei comaschi nei Palazzi che contano, indossino l'armatura e combattano come la falange macedone. Como lo merita.
Gisella Roncoroni
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