Cultura e Spettacoli
Venerdì 09 Dicembre 2011
Pusterla, vita e poesia:
ci salvano solo le parole
Il maggior poeta ticinese ha da poco pubblicato un volume intitolato "Pietra sangue" (Marcos y Marcos) ispirato alla "scagliola", tecnica di lavorazione delle pietre tipica delle terre lariane di frontiera e ticinesi.
di Gianfranco Colombo
Si intitola "Pietra sangue" ed è edita da Marcos y Marcos la raccolta di Fabio Pusterla, uno dei poeti contemporanei più sensibili e profondi. Insegnante e traduttore, oltre che poeta, Fabio Pusterla è nato a Mendrisio nel 1957 e vive ad Albogasio, in Valsolda, a due passi dalla Svizzera, sul lago di Lugano.
"Pietra sangue" raccoglie poesie scritte tra il 1994 ed il 1999 ed è facile cogliere in alcune di loro il senso ultimo di un secolo arrivato alla sua fine. «In questa vasta desolazione di inverni» - si legge in "Tremolio" - «mentre la terra rannicchiata si torce/ e qualcosa declina, che certi chiamano secolo/ o con fierezza immotivata millennio... mia nonna Idelma Formenti Bussolini/ di anni novantanove, sorda quasi del tutto, /elusa la sorveglianza, è uscita sul balcone/ e lì guarda e declama».
La nostra conversazione con Fabio Pusterla comincia proprio dalla signora Idelma, da questa nonna, sorda a tutto, anche alla vanagloria di un secolo che celebrava se stesso. «In effetti - ci dice Fabio Pusterla - questa mia nonna, che nel '99 aveva quasi cento anni, è la cartina di tornasole di tutta la retorica legata alla fine del secolo. Lei che incarnava con tutti i suoi anni il Novecento, era nello stesso tempo una persona fuori dal tempo, un elemento spiazzante nei confronti di tante autocelebrazioni».
Veniamo al titolo della raccolta, perché "Pietra sangue"?
Con questo titolo ci si riferisce alla lavorazione artigianale della scagliola o "marmo dei poveri". Questi artigiani usavano lucidare la lastra con sette diverse pietre l'ultima delle quali era detta, in dialetto, "piétra saanch" ed era verosimilmente l'ematite. La sua caratteristica era strana perché si diceva che «fa venir fuori il bello ma lascia il brutto».
Cinque sue liriche sono dedicate al poeta Armand Robin, un altro personaggio "ai margini", tanto sconosciuto quanto incredibile, come mai?
Ho scoperto Robin da un suo libro, forse l'unico tradotto in italiano, ed ho conosciuto un uomo fuori dal comune. Poeta e traduttore, durante la guerra si era inventato un lavoro singolare: di notte ascoltava le varie radio e poi stilava dei bollettini che vendeva ai servizi segreti. Dopo la guerra, solo contro tutti, visse in una sorta di emarginazione che lo portò a condizioni economiche precarie. Nel 1961 gli pignorarono mobili e libri. Lui, per tutta risposta, scomparve per due giorni; fu ritrovato, morto, nell'infermeria di un carcere.
Vista anche questa incredibile figura di poeta, cosa significa oggi per lei scrivere poesie?
Nel mondo globalizzato contemporaneo siamo come in una trappola, tutto è mercificato; lavorare sulle parole ci consente di aprire qualche finestra, ci aiuta a vedere un orizzonte, a scorgere un barlume di luce al termine del tunnel; è un modo per farci forza e riprendere il cammino.
La poesia allora è anche uno strumento per conoscersi meglio?
In questo nostro mondo accadano fenomeni curiosi. Le scritture poetiche, per esempio, sono diffusissime. Se poi il 98% di queste valgono poco, non importa, significa lo stesso che tantissima gente ha trascorso delle ore a scrivere, quasi fosse cosciente che il lavoro sulla parola ci può salvare dalla solitudine. Tutto questo avviene in un contesto in cui la poesia praticamente non esiste: i giornali non ne parlano, la televisione men che meno ed i poeti sono visti come dei sopravvissuti. Eppure tanta gente continua ancora a scrivere poesie ed a leggerle. Tutto ancora non è perduto.
Lei vive in un paesino al confine con la Svizzera. Ha ancora senso parlare di "terra di confine"?
Certamente vivere in un piccolo paese non è più come una volta. Il concetto di "centro" è molto cambiato e questo è uno dei lati positivi della tecnologia imperante: possiamo lavorare nello stesso modo ad Albogasio o a Milano. Quanto al confine, anche questa condizione è molto diversa da un tempo. Forse, anche oggi, è uno dei luoghi in cui si possono cogliere maggiormente le contraddizioni di questo mondo e, da parte mia, cerco di dar loro voce attraverso le parole.
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