Nell'aula di Palazzo Madama, dove appena il giorno prima risuonavano i fischi dei senatori leghisti, Mario Monti è tornato per certi versi al tono della cattedra. Quando dice che «non vi è crescita senza disciplina finanziaria» sembra di ascoltare il passaggio di una lezione su Quintino Sella, l'enunciazione di un fatto che resta tale anche se troppo a lungo dimenticato. E che naturalmente non sono i fischi a poter cambiare.
Il Professore non poteva nutrire particolari preoccupazioni per l'approvazione di quel «decreto di estrema urgenza», ma non può allo stesso tempo non registrare l'intensificarsi dei sintomi di insofferenza per un pacchetto di misure che andrà a gravare come un'incudine sulle spalle degli italiani. Pesa il no dell'Italia dei Valori, che va ad aggiungersi a quello della Lega, ma pesa soprattutto il discorso chiaro, forse brutale, che gli è stato fatto a Palazzo Chigi da uno dei due azionisti di maggioranza del governo: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere - che pure, per rinunciare alla presidenza del Consiglio senza che il Parlamento lo avesse sfiduciato deve aver avuto informazioni dettagliate e agghiaccianti sui rischi che corre l'Italia - ha confermato l'appoggio del PdL, ma ha anche fatto sapere di essere pronto a ritirarlo, aprendo di fatto la sciagurata prospettiva delle elezioni, se si dovesse ricorrere a nuove torchiature fiscali. E ha aggiunto la richiesta, che Monti non è in condizioni di permettersi di trascurare, che le prossime decisioni che il governo dovrà assumere siano preventivamente concordate con i partiti della maggioranza.
Facendo insomma gli scongiuri nell'attesa di vedere quanto ampio sarà l'effetto recessivo di una manovra che era comunque inevitabile, ora che le falle più grosse sono state tamponate occorre capire come uscire dalla tempesta, fuor di metafora bisogna spostare l'attenzione dall'aumento delle entrate al contenimento delle spese e, soprattutto, incominciare ad occuparsi di crescita, di sviluppo, di rilancio dell'economia. A giudicare dalle parole pronunciate al Senato, il presidente del Consiglio se ne rende conto (anche se certo non ignora quanto sia più facile inasprire il peso del fisco che stringere i cordoni della borsa, occupandosi degli infiniti sprechi che rendono così smisurato il fabbisogno dello Stato) così come si rende conto del fatto che se la maggior parte dei nostri problemi deriva dai nostri stessi comportamenti, è però necessario che anche a livello europeo parecchie cose cambino. A cominciare magari da quel "duopolio" Parigi-Berlino che anche Berlusconi vede come il fumo negli occhi. Ecco perciò che Monti parla di un'Europa che si occupi non soltanto di finanza, ma di «crescita, occupazione, coesione», mostrandosi «più solidale, più vicina ai cittadini».
È un compito che l'attuale governo sa bene di poter al massimo impostare, facendo l'uso migliore dell'apertura di credito che le misure prese gli garantiscono, ma che altri dovranno - a tempo debito - portare a compimento. Tutto questo, naturalmente, se il delicatissimo equilibrio che ha portato alla nascita di questo esecutivo riuscirà a durare fino al termine della legislatura, senza che a qualcuno saltino i nervi. Nel caso contrario, quello del ricorso alle urne in queste condizioni, avremmo da occuparci dei guai nostri in misura tale da impedirci di sicuro di pensare ai destini dell'Europa.
Antonio Marino
© RIPRODUZIONE RISERVATA