La situazione economica dell'Italia resta difficile. Ieri l'asta dei titoli pubblici è andata bene, ma non è lecito nutrire illusioni. Il maxi-prestito all'1 per cento che la Bce di Mario Draghi ha concesso alle banche europee (con italiani e spagnoli in prima linea) è stato un generoso regalo natalizio alle aziende creditizie, che hanno usato quel denaro per acquistare i Btp. L'effetto si è subito visto, ma un vero bilancio di tale politica monetaria espansiva si farà nei mesi a venire.
Nel frattempo è chiaro i mercati si aspettano altro. Perché si veda diminuire lo spread tra i buoni del Tesoro italiani e quelli tedeschi è infatti necessario che la nostra economia si metta in moto e, di conseguenza, che le questioni di cui ieri si è iniziato a parlare nel Consiglio dei ministri si traducano in atti concreti. Fino a oggi i sacrifici sono stati sopportati in primo luogo dal settore privato, dato che l'aumento delle imposte ha solo aggravato la già difficile situazione dei ceti meno garantiti. Ma a questo punto si deve iniziare a mettere sotto controllo l'autentico responsabile del disastro, e cioè il settore pubblico: inteso in senso lato. Ma il timore è che i capitoli principali non vengano nemmeno presi in considerazione.
Nel settore bancario, ad esempio, il controllo esercitato da Banca d'Italia fa della nostra economia finanziaria una delle meno liberalizzate e meno esposte alla concorrenza; eppure nessuno vuole metterci mano. Vi sono poi settori in cui da anni si attendono riforme essenziali, come nel caso del trasporto ferroviario, che esige una separazione proprietaria tra Rfi (che gestisce binari e strutture) e Trenitalia, aprendo la strada ai nuovi competitori. Nei mesi scorsi la triste vicenda di Arenaways, coraggioso pioniere che si è scontrato con l'arroganza del monopolista pubblico, ha mostrato quanto sia arretrato tale settore, che ogni giorno penalizza pubblico e imprese.
Bisogna poi eliminare i privilegi della Casta e cancellare le protezioni assicurate alle categorie più tutelate, ma soprattutto è tempo di snidare le rendite di posizione e spingere ognuno a guadagnare la propria vita sul mercato, servendo il prossimo. Se invece si seguita a ragionare su come reperire nuove entrate, come la revisione degli estimi è lì a dimostrare, si è proprio fuori strada.
Finora in tema di riforme e liberalizzazioni il governo ha manifestato intenzioni assai vaghe e il rischio è che si faccia davvero poco. In particolare, c'è la necessità di sfoltire gli organici della funzione pubblica. Se nel Regno Unito hanno avviato una drastica riduzione del numero dei dipendenti statali, di misure ben più coraggiose avremmo bisogno in Italia, dal momento che abbiamo - si pensi ai forestali della Calabria, ma è solo un esempio tra i tanti - autentiche sacche di assistenzialismo travestito da impiego pubblico.
Da un governo che non ha avuto problemi nello stracciare impegni formalmente sottoscritti (nel caso dei pensionati e anche dei titolari dei capitali "scudati") ora si pretende almeno la medesima determinazione nel cancellare i privilegi di antica data che garantiscono rendite alle solite e ben note categorie.
Carlo Lottieri
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