Ruba per sfamare il figlio
Il giudice: non è reato

Matilda era diventata madre da poco, quando è stata fermata dall'addetto alla sicurezza del supermercato. Aveva rubato un sacchetto di pere, tre confezioni di prosciutto e una bottiglia di latte.

COMO Matilda era diventata madre da poco, quando è stata fermata dall'addetto alla sicurezza del supermercato. Lui l'aveva notata mentre, aggirandosi per gli scaffali, ogni due cose che metteva nel carrello una terza la infilava nella propria borsa. Quando l'ha bloccata e le ha chiesto di mostrare cos'aveva rubato, all'uscita del negozio, lei ha tirato fuori un sacchetto di pere, tre confezioni di prosciutto e una bottiglia di latte. Poco più di una decina di euro di spesa in generi alimentari che Matilda non poteva pagare.
Matilda è stata denunciata. È finita sotto inchiesta. E alla fine ne è uscita pulita. Con la stessa Procura che ha chiesto e ottenuto l'archiviazione dell'accusa di furto.
Rubare per sfamare il figlio e in stato di necessità non è reato. O, meglio, è un fatto di lieve entità, giustificato da un «grave e urgente bisogno»: in questo caso dar da mangiare al bimbo appena nato.
Matilda è una ragazza albanese residente nel Comasco. Ha 25 anni e lo scorso aprile era stata denunciata alla magistratura con l'accusa di furto. Il pubblico ministero Giuseppe Rose, titolare dell'inchiesta, e gli uomini della sua polizia giudiziaria avevano letto gli atti e ricostruito la storia della giovane albanese. E, nelle scorse settimane, hanno chiesto l'archiviazione delle accuse al giudice in considerazione del fatto che la refurtiva era esclusivamente cibo, il che fa pensare a prodotti di necessità legati alla condizione di neomamma della giovane, e che il fatto non è in ogni caso di particolare entità.
Il giudice delle indagini preliminari ha accolto la richiesta di archiviazione: Matilda, in sostanza, non può essere considerata colpevole di aver tentato di sfamare il figlio.

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