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Mercoledì 01 Agosto 2012
Pontelambro, nessuna offerta
I 90 operai perdono il posto
Il sostanzioso ribasso non ha convinto i due ipotetici acquirenti. Ora il curatore fallimentare venderà in blocco le attrezzature
Ieri, quindi, il verdetto definitivo: in mancanza di un compratore disposto a ritirare l'attività, il curatore nominato dal tribunale di Como in seguito al fallimento, Gianmarco Mogavero, provvederà alla vendita dei beni mobili. Impianti, macchinari e brevetti dell'azienda specializzata nella produzione di bobine di film pvc saranno messi sul mercato, preferibilmente in un unico blocco, di qui a breve. Questo, per soddisfare, almeno parzialmente, le richieste dei creditori.
Ciò, beninteso, non avrà però nulla a che vedere con le ipotesi di riapertura del sito produttivo di Ponte Lambro che, stanti così le cose, non vedrà più alcuna tovaglietta di plastica uscire dai capannoni.
Per gli oltre 90 ormai ex dipendenti dell'impianto tessile erbese, il destino più infausto si è purtroppo avverato: chiusura definitiva della produzione, senza più alcuna speranza, seppur flebile e ridotta al lumicino, di riprendere l'attività. Calandratura, stampa e goffratura prenderanno la strada di altri lidi, privando Ponte Lambro di una realtà industriale presente in paese da oltre un secolo. Quel che è peggio, andranno irrimediabilmente persi tutti i posti di lavoro esistenti, senza alcuna possibilità che dall'eventuale passaggio di proprietà alcuni lavoratori possano essere riassorbiti, evitando la temuta mobilità.
«Negli ultimi mesi - dice Mogavero - è stato fatto di tutto. Decine di incontri con potenziali acquirenti, sindacati e tecnici non sono stati sufficienti per risolvere i problemi sul tavolo. Dopo due tentativi di vendita, però, adesso non possiamo che arrenderci di fronte all'evidenza».
Determinante per la non riuscita dell'operazione di vendita pare sia stata la condizione dello stabilimento, di proprietà di una società terza e non direttamente nelle mani del fallimento di Pontelambro Industria. Prezzo di vendita (o d'affitto, valutato in 600mila euro annui, contro una stima ridotta al 50%)) sproporzionato rispetto ai valori di mercato, necessità di adeguamento alle normative e incertezze circa le operazioni di bonifica necessarie su un'area a vocazione produttiva da oltre un secolo hanno messo da subito in seria difficoltà le trattative avviate. Ieri il verdetto.
Alberto Gaffuri
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