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Mercoledì 15 Agosto 2012
Così i disoccupati
salvano la giustizia
L'altra faccia della crisi ha il sorriso di Federico e di Giorgio, di Maurizio e di Rodolfo, o quello di Mauro e Gigi. E di tutti i disoccupati che hanno salvato la giustizia lariana.
Uomini che si sono rimettessi in gioco e, anziché limitarsi a incassare l'assegno della mobilità a fine mese, hanno accettato di tornare in ufficio per trascorrere le proprie giornate a smaltire montagne di fascicoli.
È una storia che frantuma i luoghi comuni su un Paese di furbetti, quella raccontata con pochi sguardi dai cosiddetti lavoratori socialmente utili impiegati in Tribunale e in Procura dalla fine del 2010. Che, in un anno e mezzo, hanno evitato il collasso della giustizia in riva al Lario. E che, per dirla con Grazia Malinverno, dipendente al palazzo di largo Spallino, «con il loro entusiasmo ci tirano su anche il morale».
Attualmente sono 13 i lavoratori socialmente utili operativi tra Procura e Tribunale. Disoccupati, esodati, tutelati: le riforme sul lavoro e sul welfare li hanno chiamati nei modi più assurdi, ma dietro agli appellativi della burocrazia ci sono storie da ascoltare e raccontare.
Federico Bernasconi, ad esempio, dopo 35 anni di entusiastico lavoro all'Artsana aveva davanti a sé un bivio: accettare la mobilità e lasciare spazio a colleghi più giovani oppure resistere fino alla pensione: «Ho deciso che era giunto il momento di salutare i miei colleghi e un posto dove sono stato benissimo. E così ho iniziato a prendere l'assegno di mobilità in attesa della pensione»
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