L'Unione ciclistica internazionale vuole annullare tutti i successi di Armstrong, a partire da una certa data in poi, perché sarebbero stati ottenuti grazie al doping. Ma i controlli, effettuati da specialisti indicati dall'Uci stessa, diedero sempre esito negativo: una clamorosa contraddizione. L'Uci non esce bene dalla vicenda, perché le sue colpe sono evidenti, ma potrebbe evitare di uscirne malissimo.
Paolo di Benedetto
A uscirne malissimo è il ciclismo. L'Uci s'è adeguata alle decisioni dell'Usada, l'ente americano antidoping, sottoscrivendone le conclusioni a proposito del caso Armstrong: alterazione sofisticata e continuata delle prestazioni. Addirittura doping di squadra, come han raccontato numerosi compagni del campione, tutti rei confessi. L'Uci dovrebbe avere il coraggio di cancellare non solo le vittorie di Armstrong, ma gli albi d'oro degli ultimi due decenni (se non di più) del ciclismo.
Quante delle vittorie elencate sono state ottenute mediante la frode chimica? Un'infinità. E difatti gli albi d'oro sono zeppi di nomi di ciclisti condannati in gare precedenti o successive a quella in cui vantano il trionfo, ciò che denunzia il grave deficit nei controlli. Solo azzerando la situazione il ciclismo recupererà la credibilità perduta ed eviterà la sua fine. Quale sponsor è oggi disposto a tirar fuori soldi per un sport così inquinato? Quale televisione a spendere milioni di euro per trasmettere uno spettacolo-truffa? Quali giornali a mandare i loro inviati al costoso seguito di corse dal verdetto inattendibile?
Quali padri e madri incoraggeranno i figli a praticare un sport talmente screditato? Quali volontari seguiteranno a impegnarvisi? Il ciclismo continua a godere di grande popolarità, ma l'ultimo scandalo rischia di creare un devastante effetto valanga. O l'Uci ne prende atto e assume i provvedimenti conseguenti (oltre al colpo di spugna sugli albi d'oro, controlli di iperseveri e radiazione dei colpevoli) oppure il ciclismo è prossimo al funerale.
Max Lodi
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