«Era una giornata molto grigia di fine settembre ma, nonostante questo, sono stata molto contenta di portare le mie due figlie (4 e 2 anni) insieme a me per vedere l'ecografia della loro nuova sorellina in arrivo.
Il giorno prima erano state entusiaste nel preparare insieme a me il corredino di Joanna la quale avrebbe trovato giá pronti i vestitini suddivisi per mesi e stagioni. Si trattava dell'ecografia cosidetta "morfologica", ma io l'avevo vissuta come un'altra delle tante dove forse avremmo potuto vedere Joanna muovere la manina e farla diventare in questo modo agli occhi delle due sorelline entusiaste qualcuno di meno astratto.
La dottoressa esegue il suo esame ma, a sua volta, io esamino ogni suo piccolo gesto del viso, cerco un sorriso, una nuova notizia, ma il suo sguardo non mi dice niente. Dopo un po' con molta gentilezza invita l'infermiera a portare fuori le bambine per dare loro un biscottino mentre lei avrebbe parlato con me. Incoraggio le bimbe con un sorriso ad uscire, ma appena la porta si chiude chiedo preoccupata: «Qualche problema?» e la risposta è stata per me lapidaria: «Purtroppo si».
Non voglio soffermarmi troppo a quel abisso di pochi secondi, a quel senso di ghiaccio che ti brucia la schiena in un momento del genere. Purtroppo il sunto è che è successo anche a noi, avevo scoperto che mia figlia portava una gravissima malattia che l'avrebbe fatta non solo avere gravi difetti fisici ma che sarebbe diventata letale per lei alla nascita.
Le mie piccole aspettavano nel corridoio e io sapevo che in quel momento dovevo uscire con la massima naturalezza possibile. Le bimbe parlavano entusiaste dei biscotti, mentre io cercavo la macchina sotto la pioggia. Nel cercare di uscire dal parcheggio credo di aver sbattuto almeno due volte contro un palo posteriore...
Da quel triste giorno di settembre è iniziata per la nostra famiglia una grande prova da affrontate insieme. Ma non è sulla mia famiglia che voglio porre l'accento in questo semplice articolo, ma sul come un'esperienza intensa e difficile come questa sia stata supportata ed addolcita dall'atteggiamento umano del personale curante.
Mi rendo conto che una questione del genere non dovrebbe "far notizia", forse di questi giorni è piú "interessante" una notizia negativa oppure una critica o lo sfogo di una lamentela o di una accusa. Perchè farlo pubblicamente, poi?
Credo che sia proprio il mio senso civico a farmi convincere del fatto che una societá in crisi come la nostra abbia bisogno di focalizzarsi piú spesso sui piccoli gesti umani che fanno la differenza.
Arrivare in un pronto soccorso e capire che i medici ricordano bene non solo il caso, ma anche il tuo nome fa la differenza, un dottore che dopo una giornata lunghissima di lavoro passa apposta per salutarti prima di andare a casa... fa la differenza, un altro che senza essere nemmeno di turno si è presentato in sala travaglio solo per dirci:
«Volevo solo salutare, visto che ero qui vicino», lascia un sapore dolce - anche in un momento di profonda sofferenza - che non potremo facilmente far passare innosservato.
Quanto è incoraggiante vedere come chi ti cura lo fa con il desiderio sincero di farti stare il "meno male" possibile. Senza pietismi, con schiettezza e molta onestá, ma senza tralasciare l'umanitá e la sensibile comprensione. Grazie al personale curante del reparto ostetricia del Valduce, siete stati davvero speciali e questo per noi è una bella cosa da condividere...
Yurena Trujillo e Gabriele Artale
(Genitori di Joanna, neonata deceduta il 13 gennaio)
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