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Giovedì 14 Febbraio 2013
Chiamate di emergenza al 112
Gli operatori: rispondiamo sempre
I vertici di Areu fanno il punto della situazione dopo le polemiche per i tempi di rsposta nel Comasco: «Riceviamo circa 6000 telefonate al giorno, che filtriamo per le forze dell'ordine. In media, ogni chiamata dura 30 secondi»
Del caso di Esposito, e di quelli di tanti altri cittadini in difficoltà con il nuovo numero di emergenza, si è discusso ieri mattina in prefettura, nel corso di una conferenza stampa convocata per fare il punto della situazione, a distanza di sette mesi dall'attivazione del nuovo servizio.
La sola spiegazione plausibile, per il caso di Lomazzo, è che il cellulare abbia agganciato, dalla Bassa Comasca, la rete di Milano, e che la chiamata sia stata quindi dirottata sul centralino dei carabinieri del capoluogo lombardo: «Di fatto - ha detto il direttore generale di Areu Alberto Zoli - il sistema funziona sempre meglio. Filtriamo le chiamate, che nel 40% dei casi sono false chiamate, siamo in grado di localizzare nel tempo di circa un secondo e mezzo l'esatta posizione di chi ci contatta, abbiamo un servizio di traduzione linguistica per stranieri. Ogni telefonata, prima di essere smistata alle forze di polizia competenti, dura una media di 30 secondi, il filtro consente di ridurre del 60% quelle chiamate che, fino a prima dell'introduzione del numero unico, ricadevano sui centralini delle forze dell'ordine. Ne riceviamo 6000 al giorno, su un bacino - quello che comprende le province di Como, Varese, Monza Brianza e Bergamo - di circa 3 milioni e 800mila persone».
«Si lavora meglio, si fa prima», ha sintetizzato il responsabile del dipartimento di emergenza urgenza dell'ospedale Sant'Anna <+nero>Mario Landriscina, ribadendo come niente più sia legato al caso, come tutto sia meccanizzato e calcolato sulla base di una rigida applicazione del piano di controllo del territorio, senza discrezionalità, né margine di errore».
Si è discusso anche della scelta strategica di affidare a personale civile la gestione dell'emergenza, e non già, direttamente, a operatori di centrale in uniforme, magari riuniti, insieme, in un'unica struttura: «Funziona così in alcuni paesi d'Europa - ha aggiunto Landriscina - ma c'è una gestione "umana", non meccanizzata. Nella sostanza cambia poco. Qui facciamo la stessa cosa da "remoto"».
«Quella della centrale unica interforze - ha aggiunto Zoli - era un'ipotesi, ma all'epoca delle prime riunioni operative a Roma fu lo stesso ministero a escludere che polizia e carabinieri fossero ancora nelle condizioni di poter destinare un simile numero di uomini a un servizio di questo tipo».
«Di sicuro - ha concluso il questore - oggi noi quando rispondiamo al telefono sappiamo che dobbiamo prepararci a un intervento vero».
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