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Lunedì 15 Giugno 2009
Odori forti in cucina,
tutti dal giudice
Guerra tra vicini (con lieto fine) in un condominio di Breccia. Sullo sfondo lo scontro tra culture
Circa il 15% delle liti condominiali che, sotto forma di diatriba legale, approda nelle aule di giustizia, riguarda le cosiddette «immissioni», cioè cattivi odori provenienti dall’appartamento del vicino. Secondo l’Associazione nazionale degli amministratori di immobili, si tratta quasi sempre di vertenze legate a problemi di convivenza etnico - culinaria. In pratica molti comaschi mal sopportano, a torto o a ragione, gli "effluvi" della cucina cosiddetta etnica. Nell’80% dei casi le liti coinvolgono immigrati di origine asiatica, cioè cingalesi, pakistani o indiani, nel 15% cittadini di passaporto cinese e, più di rado, cittadini nordafricani, tunisini o marocchini.
Le cucine di Breccia - Un caso emblematico si è verificato in un condominio di cinque piani a Breccia. Un appartamento, abitato da una famiglia di cingalesi, era stato subaffittato a tanti nuclei familiari quante erano le stanze a disposizione. «In ciascuno dei locali - ricorda l’avvocato Giuseppe Gallo - era stata collocato un fornello a gas portatile, con l’effetto di moltiplicare gli odori di un tipo di cucina già molto aromatica». In un primo momento i vicini pensarono al cattivo funzionamento di una cappa di aspirazione dei fumi, poi però la verità venne a galla. Secondo l’Associazione nazionale degli amministratori di immobili, «il ricorso alle aule di giustizia è ampiamente consigliabile». I tempi di risposto sono molto lunghi, e peraltro comportano anche l’assunzione di oneri di spesa molto consistenti. Nel caso di Breccia, trionfò il buon senso. Ancora Gallo: «Quando scoprimmo come stavano le cose, inviammo una diffida all’amministratore e al proprietario dell’appartamento. E tanto bastò...». I "cucinini" sparirono, gli impianti di areazione condominiali furono rivisti in modo da dirottare i fumi direttamente sul tetto. Questo genere di "scontro", culturale prima ancora che culinario, si ripete comunque con una certa frequenza. In provincia se ne contano a decine. Ebenché le diverse situazioni presentino, di volta in volta, risvolti fin grotteschi, il problema è serio e sentito.
Torti e ragioni - Sempre secondo l’Anammi, è difficile stabilire chi abbia davvero ragione. Secondo l’articolo 844 del Codice civile, l’immissione non può essere impedita a meno che non superi la normale tollerabilità, rilevata nel contesto di riferimento. «In altre parole - fa sapere ancora l’Associazione degli amministratori - l’odore di fritto che arriva dalla rosticceria sotto casa è da evitarsi, non così, invece, un aroma, anche molto forte, di origine gastronomica ma che provenga dall’appartamento del vicino». La soluzione migliore, rileva il presidente dell’Anammi Giuseppe Bica, è come sempre quella che passa dall’adozione di un pizzico di buonsenso, anche per scongiurare uno scontro, mai auspicabile, di culture. In altre parole, se si accetta l’odore di soffritto o di brasato nell’atrio o sui pianerottoli, non si potrà poi tacciare di intollerabilità la diffusione di un aroma diverso solo perché proveniente da un tipo di cucina etnica. Come venirne a capo? Alla Anammi non hanno dubbi: «Una cena etnica tra condomini, un giro nella cucina della famiglia di immigrati, in modo da far capire che in quel posto non succede nulla di strano. È un modo per superare la barriera tra due mondi».
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