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Lunedì 06 Luglio 2009
Ardant: <Non tempo il tempo
Anzi, mi butto nel declino>
La grande attrice, da poco nonna e alla sua prima regia, torna sulle scene
<Non saremo perfetti per sempre: ma l'importante è vivere fino in fondo>
Com’è nata questa interpretazione di «Music-Hall»?
Sono nata in teatro, provengo da lì, il cinema è arrivato molto dopo. Ricordo ancora perfettamente la sera del mio debutto nel 1974 con il "Polyeucte" di Corneille per la regia di Dominique Leverd. Ho avuto tutta la vita un rapporto d’amore e odio. Il teatro è cattivo, ti prosciuga, ti chiede tutto. Un po’ come succede con gli uomini. Dopo una grande storia, ne esci svuotata e allora giuri a te stessa che non ci cascherai più, che è sicuramente l’ultima volta… Invece dopo un po’ ti innamori di nuovo e ricominci. Per me il teatro è una malattia, non sono mai riuscita a vaccinarmi.
Cosa l’ha colpita di questa storia?
Che si parli di teatro a teatro, in una situazione di estremo disagio e abbrutimento. Una compagnia deve mettere in scena uno show in un luogo scalcinato e fatiscente ma non hanno più grandi mezzi. Il mio personaggio, "Ragazza", mi piace perché adotta una maschera di compiacenza fingendo che tutto vada bene, in realtà soffre maledettamente per il contesto che la circonda. È una lotta esistenziale quotidiana, eppure non molla la presa. È tenace, in questo mi assomiglia.
Il suo italiano è fluente. Che emozioni le ha dato recitare a Napoli, la "città del teatro"?
Molto forti, anche se non conosco bene il teatro napoletano. L’ho incontrato leggendo i grandi romanzi francesi, poi Gassman mi ha aiutato a scoprirlo. Ho sempre apprezzato lo spirito teatrale di questa città. Diverso da Londra, che è una città teatrale sul piano intellettualistico, mentre qui lo è su quello più schiettamente quotidiano e popolare. Da qui e dalla grande tradizione della Commedia dell’Arte hanno preso le basi i grandi autori del teatro europeo. Shakespeare, Molière, Marivaux senza la lezione di Napoli sarebbero stati certamente diversi.
Ha scritto e diretto il film «Ceneri e sangue» (da noi uscirà il prossimo anno). Me ne vuole parlare?
Una donna rumena, immigrata in Francia, perde il marito assassinato in una faida familiare e da sola cresce tre figli. Il film racconta il suo doloroso ritorno al villaggio natale, 18 anni dopo la tragedia. Una storia di violenza ma anche di perdono, a volte è più forte di tutte le condanne.
È stata legata a Truffaut (il regista scomparso nel 1984), da lui ha avuto una figlia, Josephine…
Ho amato l’uomo, non il regista. Non mi va di parlarne.
Con lui ha girato due film straordinari «Finalmente domenica!» (1983), e soprattutto l’indimenticabile «La signora della porta accanto» (1981).
Una vicenda che dimostra che l’esito drammatico di una grande storia d’amore non appartiene solo ai classici come "Giulietta e Romeo", può accadere a chiunque di noi e in qualunque momento della nostra vita.
Ha mai avuto paura?
Penso che sia un sentimento che ti svilisce: la paura di perdere qualcosa, di trovarsi soli, di invecchiare, di essere ridicoli… In fondo siamo tutti nella stessa barca. Dobbiamo andare avanti con alti e bassi. Abbiamo una sola vita, se la passiamo a lamentarci non potremo mai viverla fino in fondo. Oppure possiamo buttarci nel declino consapevoli che non saremo sempre perfetti, giovani e seducenti fino a ottant’anni. L’importante è vivere.
Grazia Lissi
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