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Giovedì 16 Luglio 2009
La fusione mancata con Mantero
Tessuto: "Non sono pronto"
"Prima devo risolvere i problemi della mia azienda"
«Non ci sono più le condizioni per andare avanti, ci siamo impegnati a fondo partendo da una forte volontà comune, ma quando siamo entrati nei dettagli del piano, causa anche l’aggravarsi della crisi, ci siamo accorti che il riassetto industriale e sociale era molto più complesso e non eravamo pronti a fare questo passo». Ecco i primi scambi di battute tra i due imprenditori, ieri, nella sede direzionale della Mantero, in un clima disteso che non celava comunque un certo imbarazzo.
«Prima devo risolvere i problemi della mia azienda - esordisce Tessuto, affrontando di petto la questione - L’obiettivo è alleggerirla e riposizionarla sul mercato alla luce dell’ulteriore flessione della domanda. Un riequilibrio delicato che può fare solo chi ne conosce, come me, le peculiarità».
Rotto il ghiaccio, Mantero ribadisce la disponibilità a riprendere in futuro i rapporti, anche se poi si affretta ad aggiungere senza mezzi termini: «Sempre che ci siano le condizioni giuste per un riavvicinamento e che non passi un altro treno».
Parole che lasciano anche trapelare un chiaro invito a un cambiamento di mentalità, subito recepito da Tessuto, che replica: «Sono sempre stato un accentratore, un atteggiamento che alla lunga potrebbe, forse, rivelarsi un errore. Ma, non ho mai potuto dimenticare le parole di mio padre: "Meglio sbagliare decidendo che non decidere"».
L’industriale, senza volerlo, esterna la sofferenza di chi non è ancora pronto a consegnare in mani manageriali un’impresa da sempre legata a un modello familiare. Salto già compiuto dalla Mantero con il passaggio di consegne a Massimo Brunelli, attualmente timoniere del gruppo di via Volta, l’uomo che avrebbe dovuto guidare il nuovo colosso tessile.
Forse, Tessuto non si è ancora rassegnato a farsi da parte sul piano operativo. Hanno giocato un ruolo fondamentale le pressioni della sua gente, come lui stesso confessa: «Nel momento in cui le due aziende hanno annunciato la svolta ai 900 dipendenti, c’è stato un terremoto e non tutti i miei collaboratori ne erano convinti».
«Timori giustificati - gli fa eco Mantero - visto che l’iniziativa è partita dall’idea non di sommare, ma di integrare le risorse migliori e complementari».
Nel dire questo, non nasconde il suo rammarico per il fermo di quello che poteva essere una pionieristica impresa, destinata a diventare un modello per altri nella filiera serica.
«Quel che è certo è che nell’attuale contesto storico-economico, le realtà del distretto non potranno sopravvivere nel medio-termine senza alleanze. Guardare lontano significa cominciare a identificare il partner più idoneo, vicino o lontano».
Mantero risponde senza reticenze anche sui risvolti del dietrofront in ambito finanziario. «L’operazione era stata vista di buon occhio, doveva rafforzare entrambe le aziende anche sotto il profilo patrimoniale, le banche non saranno certo contente». Riguardo a fornitori e clienti, i due attori sono concordi: «Forse avevano più paura prima, insieme avremmo fatto massa critica, con più potere contrattuale sul prezzo, sul prodotto e sul servizio». Una storia difficile da raccontare dopo tante attese, prematuro immaginarne le ripercussioni, destinate inevitabilmente a ritardare il rilancio dei due gruppi.
Serena Brivio
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