Un "commando" di tre assassini
si è mosso per uccidere Di Giacomo

Sarebbero più d’una le persone coinvolte nell’omicidio di Antonio Di Gacomo. Due, più probabilmente tre. È un dato che filtra a margine delle indagini condotte dalla squadra mobile della questura

COMO Sarebbero più d’una le persone coinvolte nell’omicidio di Antonio Di Gacomo. Due, più probabilmente tre. È un dato che filtra a margine delle indagini condotte dalla squadra mobile della questura che da qualche ora ha a disposizione anche la relazione stilata, ad autopsia conclusa, dal medico legale Giovanni Scola.
Grandi particolari non sono filtrati. Preoccupa, piuttosto, quello che, dall’autopsia, non è emerso. Per esempio non si sono trovati proiettili: il colpo che l’ha ucciso è verosimilmente penetrato e fuoriuscito contestualmente. Si tratterebbe, secondo l’anatomopatologo, del proiettile di un’arma di medio calibro, probabilmente un 7.65 o 6.35, quindi quasi sicuramente una pistola.
Lo suggerisce la logica, oltre che le proporzioni del foro di ingresso: un calibro maggiore avrebbe comportato anche danni maggiori alla calotta cranica. Inevitabile che la mancanza del proiettile, tutt’altro che un dettaglio, complichi l’indagine. Se anche la polizia dovesse identificare un sospetto e un’arma, il confronto balistico sarebbe impossibile.

<+G_TITOLINI>il cellophane
<+G_TONDO>Ieri sono emersi nuovi dettagli relativi al ritrovamento del corpo. Oltre al sacchetto in testa, la salma di Di Giacomo era avvolta in un "lenzuolo" di cellophane, strappato probabilmente da una bobina molto grande. L’ipotesi più plausibile è quella che il cellophane sia servito a trasferire il cadavere senza spargere troppo sangue e senza lasciare tracce organiche o ematiche. Il passaggio logico successivo, scontato - e di cui in questi giorni si è già parlato - è che l’esecuzione sia avvenuta altrove e che soltanto successivamente il corpo esangue sia stato trasferito per essere chiuso nel furgone giallo della «Wind service». Sulla salma, ed è un altro dettaglio già noto, era stato poi steso un telo verde a sigillare la sorta di sarcofago realizzato con il grosso armadio grigio che, a sentire alcuni suoi amici, la vittima utilizzava per infilarci e trasportarci le tavole da windusrf, la grande passione della sua vita.

<+G_TITOLINI>ipotesi sul movente
<+G_TONDO>L’inchiesta procede sullo stesso sentiero imboccato da qualche giorno. La polizia è convinta che all’origine del delitto ci siano questioni di denaro. Interessano sia il passato del piccolo imprenditore, sia la cerchia delle sue amicizie e dei suoi interessi: nonostante avesse iniziato a occuparsi di distribuzione di caffè nelle province di Sondrio e di Lecco, essi continuavano a orbitare anche in provincia di Como, dove Di Giacomo capitava spesso, in particolare nella zona in cui era cresciuto, tra Cavallasca, Drezzo e Paré, oltre che a Tavernerio, dove viveva il figlio di suo fratello. Nei prossimi giorni sarà sottoposto a nuovi accertamenti anche il furgone giallo in cui è stato ritrovato il corpo. Se ne occuperà la scientifica che tuttavia, nel corso delle prime verifiche, non aveva raccolto elementi determinanti. All’appello, oltre al telefonino, manca una serie di oggetti personali della vittima. Con sé, per esempio, aveva un piccolo zaino che doveva contenere alcuni orologi di marca acquistati di recente e destinati a essere regalati ad alcuni amici, così almeno avrebbero riferito i suoi parenti. Lo zaino è introvabile.
Per il resto, nel vano di carico dove è stato rinvenuto il cadavere, c’erano tutti gli "attrezzi" del mestiere. Caffè, palette, bicchierini per le macchinette aziendali che Antonio Di Giacomo riforniva in Valtellina e in tutta la provincia di Lecco.
Oggi comincia il sesto giorno di indagine.
St. F.

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