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Venerdì 30 Ottobre 2009
Di Giacomo ammazzato
per due stufe e uno scooter
Secondo Emanuel Capellato, il 34enne comasco arrestato con l’accusa di avere preso parte all’omicidio di Antonio Di Giacomo, il movente del delitto del furgone giallo sarebbero due stufe, uno scooter e un televisore
COMO Secondo Emanuel Capellato, il 34enne comasco arrestato con l’accusa di avere preso parte all’omicidio di Antonio Di Giacomo, il movente del delitto del furgone giallo sarebbero due stufe, uno scooter e un televisore.
Il proprietario dell’abitazione di via Cinque Giornate in cui si è consumato il delitto, lo ha riferito agli inquirenti della squadra mobile nel corso dell’interrogatorio che lunedì aveva condotto all’arresto di Leonardo Panarisi, il pregiudicato 52enne considerato l’esecutore materiale dell’omicidio. Questi si sarebbe presentato nel monolocale in centro storico nel primo pomeriggio di venerdì 9 ottobre per discutere di un credito vantato proprio nei confronti di Emanuel. Panarisi gli chiedeva la restituzione di una somma spesa per l’acquisto di due stufe, di un apparecchio tv e di uno scooter. Secondo la "confessione" di Capellato, nella loro discussione si sarebbe introdotto Di Giacomo, che fino a quel momento era rimasto in disparte, seduto di fronte a un computer. «Io a quel punto sono sceso per bere un caffé e quando sono tornato Antonio era morto». Icontorni del resoconto sono ancora tutt’altro che chiari, tanto più che da qualche parte, in questa ricostruzione, andrebbero collocati i cinque orologi che Di Giacomo teneva nel suo zainetto. Patacche? Non proprio. Due dovevano essere genuini, un Rolex «Daytona» e un Patek Philippe di cui non c’è stato modo di specificare il modello ma che, rivenduti, avrebbero fruttato alcune migliaia di euro. È ipotizzabile che Capellato vantasse a sua volta un credito nei confronti di Di Giacomo e che si sia sfilato dalla trattativa chiedendo a Panarisi di rivalersi proprio sull’artigiano di Colico. Alla fine uno dei due (Panarisi?) deve avere perso le staffe.
Ieri mattina in carcere proprio Panarisi ha incontrato il giudice preliminare Pietro Martinelli per la convalida del fermo. Il gip ha convalidato, ritenendo anche pienamente sussistenti le condizioni per la custodia cautelare in carcere. Il cinquantenne di origini siciliane si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande ma, assistito dall’avvocato Pierpaolo Livio, ha fornito una dichiarazione spontanea che ricalca le anticipazioni dei giorni scorsi. In sostanza sostiene di essersi mosso da casa dopo avere ricevuto la telefonata di un angosciatissimo Capellato, che gli chiedeva di raggiungerlo perché aveva «combinato un casino». Panarisi dice anche di essersi limitato ad aiutarlo nelle successive operazioni di pulizia, messe in piedi a seguito di una spesa all’Obi di Montano Lucino, dove i due avevano acquistato un armadio per "inscatolare" il morto, un telo di plastica per avvolgerlo e il detergente per far sparire le tracce di sangue. L’indagine, in ogni caso, non è conclusa. All’appello mancano ancora l’arma, quasi sicuramente una pistola, e i cinque orologi.
Stefano Ferrari
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