Non c'è che una stagione: l'estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla". (Ennio Flaiano)
Faccio parte della schiera di italiani a cui agosto comunica un senso inquietante e destabilizzante di vuoto. Poco importa se ci possiamo dimenticare per un po' delle code per strada soprattutto nelle ore di punta - vantaggio non da poco - e se molti di noi si stanno appassionando alle filosofie orientali che ci dovrebbero "insegnare" la bellezza del vuoto e del non fare.
Poco importa se si ama la solitudine e la calma, quella cercata però, non quella imposta. L'estate provoca un leggero senso di inquietudine, come di incertezza e di instabilità: è uno stato di sospensione, quasi di attesa.
Ci si vede meno con gli amici, soprattutto se ci si alterna con le partenze, niente scuola per i pargoli, molte attività e negozi sono chiusi. La si aspetta, la si invoca, soprattutto poco prima delle tanto sospirate ferie, che sono più belle forse, come tante cose della vita, finché sono solamente sognate e attese e non vissute realmente.
Ilaria Mascetti
Estate che ha dato il suo profumo ad ogni fiore/ l'estate che ha creato il nostro amore/ per farmi poi morire di dolore. Odio l'estate" recita un noto standard jazz italiano, creatura di Bruno Martino che anche lui, probabilmente, aveva conti in sospeso con agosto e mesi limitrofi. Giorni interminabili e fermi, in cui aumentano suicidi e crisi depressive, chi è solo si isola ancora di più, aiutato dall'immobilità atmosferica, dal peso dell'umidità che incombe come una sentenza.
In estate la natura ha concluso il suo lavoro riproduttivo e tira il fiato ma l'uomo, ormai abituato a ritmi forsennati, stenta a ritrovare la dimensione del riposo assoluto, dell'ozio di antica memoria, un dolce far nulla che non sia collegato a una spiaggia o a un pergolato montano.
Agosto, mese di compleanni tristi e solitari, di passeggiate per città deserte e spoglie, ci serve forse a guardarci dentro, per capire davvero se siamo o no in grado di gestire la nostra solitudine, mentale e non fisica, e di riempire il senso di vuoto con qualcosa che ci arricchisca davvero, lontano dagli orpelli cui siamo abituati.
Una prova antica di maturità, che come l'uva che inturgidisce sui tralci, darà il proprio succo, buono o cattivo, all'arrivo dell'autunno.
Mario Chiodetti
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