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Mercoledì 08 Aprile 2009
Aiuti e viaggio a ostacoli
Colpa delle carte benzina
Cronaca del lungo trasferimento dei soccorsi da Como fino in Abruzzo
E giunti ormai alla meta paura per un viadotto ridotto come fogli di carta
L'AQUILA La colonna di mezzi, all’improvviso, si ferma. Dopo oltre tredici ore di viaggio massacrante, la meta - lo svincolo di L’Aquila Est - è a soli cinque chilometri. La radio gracchia una spiegazione, dell’inatteso stop, che non fa ridere nessuno: «La polstrada ci chiede di tenere duecento metri di distanza tra i mezzi e di non stare vicini al bordo dell’autostrada». Perché? «Il viadotto pare danneggiato. Meglio non fidarsi». Il viaggio senza fine dei soccorritori, che da Como sono andati a dare manforte all’esercito di medici e infermieri accorso in Abruzzo, non poteva non riservare un colpo di scena finale: un lento ballo di pneumatici sui lastroni di cemento armato spostati come fogli di carta da un sisma che, da queste parti, non ha risparmiato niente e nessuno. Le strade dell’Aquila sono intasate di mezzi di soccorso. Quelli su cui ci troviamo noi avevano mosso i primi chilometri dal Sant’Anna di Como lunedì all’imbrunire. Un’ambulanza e un fuoristrada. A bordo due uomini del 118 di Como e tre di Varese. Un viaggio che ha rischiato di interrompersi prima ancora di iniziare. Spiegherà, il giorno dopo a ore di asfalto ormai macinate, Marco Salmoiraghi, direttore sanitario dell’Areu (l’azienda lombarda di coordinamento dei 118): «Ho visto l’enorme quantità di risorse umane e di mezzi mobilitate per aiutare la popolazione abruzzese e ho potuto così constatare che l’offerta è decisamente superiore alle esigenze. Ma tutto sommato va bene così: sarebbe stato peggio ritrovarsi scoperti e rimediare all’ultimo momento, visto anche il lungo viaggio».
Già. Il viaggio. Il quintetto raggiunge il Niguarda di Milano alle 21.30. La viuzze dell’ospedale-città di Milano sono occupate da tre enormi camion gialli destinati a trasportare vere e proprie sale operatorie, da mezzi del San Matteo di Pavia e del 118 di Bergamo. In tutto quattordici mezzi, per un totale di 34 persone. Giovanni Sesana, il direttore del 118 di Milano, è in contatto diretto con i vertici, a L’Aquila: «Siamo in attesa del via libera». L’aria di Milano è calda, a dispetto del buio. Uomini in tuta rossa si scambiano battute. Scherzano. Fanno ipotesi sulla destinazione, su cosa troveranno. Spiega Federico Federighi, medico del 118 di Como: «È facile ipotizzare che il nostro posto medico avanzato possa essere utilizzato per zone magari isolate», magari senza intasare una già intasatissima L’Aquila. E invece, ore 23.30: «Abbiamo il via libera, si va all’Aquila nel parcheggio di un centro commerciale». È mezzanotte quando i quattordici mezzi si mettono in rigorosa fila indiana e iniziano a tempestare di blu-lampeggiante la notte d’Italia, dalla Pianura Padana all’Adriatico, fin sotto il Gran Sasso. Un viaggio lento, macchinoso, difficile. Dopotutto ci sono rigide regole da rispettare. Per esempio, il carburante: c’è chi ha la tessera Agip, chi ha quella Esso e chi deve per forza scegliere Erg. Risultato: nei primi cento chilometri ci si deve fermare tre volte. Il navigatore satellitare impostato da Claudio Costabile ipotizza orari di partenza via via disattesi. È come una corsa con una meta che si sposta in continuazione. Il traguardo, i quattordici mezzi partiti dalla Lombardia, lo tagliano alle dieci passate. Al termine di un viaggio costellato di incontri: protezione civile "Gruppo per l’Ambiente", polizia locale di Merate, Comune di Imbersago, Esercito italiano, Marina militare, Croce rossa italiana, unità cinofile, Ministero per il pubblico soccorso. Per tutti la meta è la stessa.
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