Salute
Mercoledì 13 Ottobre 2010
Alzheimer, le nuove speranze
parlano il dialetto bergamasco
Il ruolo dell'ipertensione nel morbo di Alzheimer ha sempre riscosso un grosso interesse per le potenziali implicazioni di nuove terapie che potrebbero prevenire e possibilmente attenuare la malattia attraverso la regolazione della pressione arteriosa.
Il ruolo dell'ipertensione nel morbo di Alzheimer ha sempre riscosso grande interesse per le potenziali implicazioni di nuove terapie che potrebbero prevenire, o almeno attenuare, la malattia attraverso la «regolazione» della pressione arteriosa. Nell'ultimo decennio, però, non si sono mai avute prove evidenti al riguardo, anche perché non sono ancora ben chiari tutti i meccanismi coinvolti.
Ma recenti studi condotti dal professor Giulio Maria Pasinetti - bergamasco, nato e vissuto in via Borgo Canale, da oltre vent'anni negli Usa, a New York - sembrerebbero aver aperto un nuovo campo di ricerca che potrebbe consentire, a breve termine, l'introduzione di alcuni farmaci antiipertensivi nel trattamento dell'Alzheimer.
Pasinetti, professore di Neurologia e direttore del Centro di ricerche per lo studio sul morbo di Alzheimer al «Mount Sinai School of Medicine» di New York, ha scoperto che una ristretta quantità di farmaci prescritti per la cura dell'ipertensione potrebbe non solo attenuare significativamente la degenerazione cerebrale nel cervello, ma anche promuovere alcune attività mnemoniche, ritardando o prevenendo la malattia stessa, senza influenzare la pressione arteriosa. Questi studi hanno notevolissima rilevanza in quanto, per la prima volta, si è dimostrato che farmaci già disponibili sul mercato potrebbero essere utilizzati per il trattamento dell'Alzheimer, per il quale non ci sono attualmente cure particolarmente efficaci.
Una scoperta fatta attraverso animali geneticamente modificati per sviluppare una degenerazione cerebrale tipo Alzheimer. Il gruppo di ricerca condotto da Giulio Pasinetti ha notato, per esempio, che gli animali cui era stato somministrato regolarmente per 5 mesi il farmaco antiipertensivo «cardilol» - a dosi 3 volte inferiori a quelle generalmente prescritte per la cura dell'ipertensione - erano in grado di imparare nuove attività e dimostravano una maggiore capacità di mantenerle nel tempo rispetto agli animali cosiddetti «di controllo».
Un'intuizione che ha implicazioni importantissime in quanto dimostra, per la prima volta, che non solo esisterebbe la possibilità di utilizzare farmaci già in commercio per curare l'Alzheimer meglio di quanto non si faccia oggi, ma che nuovi studi - in grado di chiarire le dosi efficaci di alcuni farmaci per particolari malattie - potrebbero aiutare a trovare nuovi medicinali in grado di arrestare l'inesorabile degenerazione del cervello nei pazienti Alzheimer. Pasinetti, tra l'altro, è convinto che la quantità somministrata di alcuni farmaci sia in grado di influenzare «automaticamente» il proprio assorbimento dall'organismo stesso. Lo scienziato bergamasco ha infatti dimostrato, che, in alcuni casi, meno farmaci si somministrano, maggiori concentrazioni si accumulano nel cervello.
Pasinetti si dice convinto che «le evidenze dimostrate sperimentalmente sono sufficienti sia per continuare la ricerca con applicazioni cliniche nell'uomo, sia per identificare la dose ottimale perché i principi attivi degli antiipertensivi risultino efficaci anche per l'Alzheimer, iniziando, ad esempio, a lavorare sul farmaco Coreg». Entro la fine dell'anno, comunque, il gruppo del prof. Pasinetti inizierà nuovi studi clinici.
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