Fra le varie celebrazioni nazionali in occasione del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, non manca quella delle nostre glorie calcistiche. Ci vantiamo perché all'estero ci apprezzano anche per la qualità di un movimento calcistico che è stato capace di conquistare quattro titoli mondiali. E' un orgoglio al quale teniamo molto. Ebbene, proprio nella ricorrenza del centocinquantenario, questo orgoglio viene intaccato dai continui rovesci che da un po' di tempo a questa parte subisce il calcio italiano: la nazionale affossata come sappiamo nell'ultimo mondiale, la crisi senza fine di un club storico come la Juventus, le eliminazioni costanti delle nostre squadre dalla Champions League. Si dice che la colpa è della scarsa qualità dei giocatori, ma le colpe probabilmente sono anche di altri.
Gino Canali
Certo che lo sono. Che i giocatori non siano un granché lo dimostra l'Inter plurivincente della scorsa stagione: tutti stranieri in campo (allenatore compreso), qualche riserva italiana in panchina. Siamo così caduti in basso da considerare normale l'eliminazione d'un Milan (d'un supertitolato Milan) dalla Champions League da parte d'una squadra normale - perfino modesta - come il Tottenham; da ritenere altrettanto normale che la Juve spenda milionate per rifondarsi e che ci possa mettere lustri a farlo, passando da un fallimento a quello successivo; da innalzare campioni ormai di vecchio pelo come Totti e Del Piero a figure dominanti del campionato. Mancano i talenti. E però manca il contorno. Chi li deve scoprire, chi allevare, chi far giocare in un certo modo. Mancano grandi allenatori. Mancano soprattutto grandi dirigenti. La visuale del movimento è sempre ridotta, l'orizzonte ristretto, il provincialismo imperante. Basti pensare alle polemiche sugli arbitraggi: una pena costante e infinita. La verità è che gli arbitri sono attori degni dello spettacolo mediocre che va in scena: né migliori né peggiori. Bisognerebbe voltar pagina per davvero: società con piglio moderno e imprenditoriale, stadi nuovi, interazione fra politica e sport. Eccetera. Invece quest'interazione transita da una legislatura all'altra senza che qualcuno la trasformi da idea vaga in progetto concreto. Il calcio italiano non è degno, in questa sua fase, del passato glorioso. Credeva di poter vivere per sempre godendo d'una rendita di posizione, e invece ha perduto posizioni su posizioni nella classifica del meglio che esiste al mondo. Come marchio del Made in Italy è meglio lasciarlo perdere, fin che continuerà a dimostrare di non sapere (di non volere) tornare a vincere.
Max Lodi
© RIPRODUZIONE RISERVATA