Economia / Como città
Sabato 30 Novembre 2013
«Anche Papa Francesco
ricorda la nostra funzione sociale»
La relazione completa del presidente di Confcooperative Mauro Frangi
Ecco la relazione completa del presidente Mauro Frangi
Amici e colleghi cooperatori, Autorità, gentili ospiti,
rivolgo a tutti Voi un cordiale benvenuto all’Assemblea 2013 di Confcooperative Como.
Il benvenuto più caloroso va, ovviamente, ai cooperatori che partecipano per la prima volta
all’Assemblea dell’Unione Provinciale.
Le Associazioni funzionano e crescono solo con la partecipazione fattiva e motivata dei soci.
Solo la partecipazione moltiplica i punti di vista, consente di generare relazioni e legami vitali
tra le persone e le imprese, aumenta le opportunità per tutti.
Per questo nessuno può sottrarsi alla passione della responsabilità e della solidarietà.
Abbiamo scelto di aprire questa nostra Assemblea con un messaggio di straordinaria
eccezione.
E’ un breve video che vi propongo di guardare ed ascoltare insieme.
1. “Tenere viva la memoria della nostra origine” e, insieme, “rivestire di novità la continuità”.
Questo è il messaggio e l’impegno che le parole di Papa Francesco -nel suo
videomessaggio al terzo Festival della dottrina sociale della Chiesa, svoltosi a Verona dal
21 al 24 novembre scorso - ci consegnano.
Mi permetto di partire proprio dal medesimo punto da cui ha iniziato Papa Francesco.
Le cooperative dentro la crisi hanno svolto -in Italia e a Como -la “funzione sociale”,
sancita dall’articolo 45 della Costituzione Repubblicana.
L’hanno svolta aldilà di ogni aspettativa.
Hanno retto all’urto della crisi e incrementato l’occupazione complessiva.
In alcuni settori questo apporto è stato straordinario.
I recenti Censimenti ISTAT -quello delle imprese e quello delle istituzioni no profit -ci
consegnano una fotografia chiarissima.
Mi soffermo solo sui dati del nostro territorio provinciale. Ma in altre parti del Paese i
fenomeni sono stati ancora più ampi.
Nel decennio della stagnazione prima e della recessione poi, le cooperative sociali sono
quasi raddoppiate di numero (+98%) e hanno più che raddoppiato l’occupazione
complessiva (+132%).
Erano un fenomeno di nicchia nel 2001. Sono oggi un protagonista del nuovo Welfare.
Davano, alla data del Censimento (2011), lavoro a 3.628 cittadini comaschi.
Il dato è decisamente superiore se non ci limitassimo a guardare solo ai rapporti di lavoro
subordinato, ma aggiungessimo a questi le centinaia di rapporti di lavoro autonomo e tutte
le altre forme contrattuali con cui si crea e si distribuisce il lavoro nella nostra società.
L’occupazione si è quasi raddoppiata (+96%) anche nelle cooperative diverse dalle
cooperative sociali.
L’ISTAT attesta che sono 10.146 gli occupati con contratti di lavoro subordinato dell’intero
sistema cooperativo comasco (+108%). Erano 4.882 alla data del precedente censimento.
429 imprese (+ 9%), con un occupazione media passata nel decennio da 12 a 24 unità,
attestandosi, quindi, ad un livello decisamente superiore a quella dell’intero sistema
imprenditoriale comasco (4 unità).
Nel frattempo, l’occupazione nella nostra provincia si è ridotta pesantemente, sia nelle
Istituzioni Pubbliche (- 17%) che nel sistema delle imprese (- 8%).
Quasi 17 mila occupati in meno. 15 mila nelle imprese e poco meno di 2 mila nelle
Istituzioni Pubbliche. 6 mila in più nel sistema cooperativo.
Si tratta di un apporto all’economia provinciale credo indiscutibile.
Le cooperative non lo hanno realizzato per magia.
Ma perché, direbbe Papa Francesco, “hanno tenuto viva la memoria della loro origine”.
Hanno esercitato fino in fondo la loro missione e vocazione mutualistica.
Si sono comportate da vere cooperative.
2. Una recente ricerca di Unioncamere ci mostra l’altra faccia della medaglia.
I dati sono, in questo caso, nazionali.
Il valore aggiunto in cooperativa è cresciuto dal 2006 al 2011 (+ 24%).
Quattro volte di più di quello delle società di capitali (+6%).
Ma la redditività delle imprese cooperative è diminuita tredici volte di più (-65%) di quanto
è avvenuto per le società di capitali (- 5%).
E’ la prova che, messe di fronte alla scelta tra un posto di lavoro in più o un po’ di utili in
più, le cooperative hanno fatto la scelta giusta.
Hanno portato avanti l’impresa mutualistica anche là dove altre imprese si sarebbero
arrese.
Ciascuno fa il suo mestiere. E il carattere primario delle cooperative è il mutualismo.
Dovrebbe bastare questa considerazione a far capire a tutti -alla politica nostrana e,
soprattutto, all’Europa della tecnocrazia -che il pluralismo delle finalità imprenditoriali e,
conseguentemente, quello delle forme giuridiche e delle strutture di impresa, sono
ricchezze per la vita economica e sociale di una comunità, di un Paese.
Il nostro apporto al Paese nel tempo della crisi è stato, quindi, indiscutibile.
Anche il nostro apporto per la ripresa della crescita e dell’occupazione deve essere
altrettanto robusto ed indiscutibile.
Non possiamo accontentarci di vivacchiare o di azioni difensive.
Dobbiamo dare vita -con inventiva e sapendo guardare al futuro -ad una nuova stagione
di proposte e di sviluppo.
Con nuove tipologie cooperative in nuovi campi. Con la capacità di generare innovazione.
Promuovendo la soluzione cooperativa come una possibilità in più, una risorsa in più, per
contribuire allo sviluppo del nostro territorio.
Tornerò su questo punto nella parte finale.
3. Perché gli impegni e le proposte di sviluppo per il futuro sono cose serie solo se poggiano
su una profonda consapevolezza del presente.
E il presente ci dice che -dopo lo straordinario slancio del decennio 2001-2011 -la
situazione dell’economia cooperativa è mutata a partire dal secondo semestre 2012.
Le cooperative aderenti a Confcooperative hanno chiuso il 2012 con affanno.
Marginalità e redditività si sono erose ulteriormente anche nel 2013.
Chi non è stato abbattuto dall’impatto della crisi, è sempre più logorato dal trascinamento
interminabile delle difficoltà.
Difficoltà che hanno impattato su imprese rese più deboli dall’aver sacrificato, per reggere
anni di crisi, le riserve indivisibili accantonate nel tempo.
Le liquidazioni e le cessazioni sono aumentate.
Oltre tre quarti delle liquidazioni si concentrano in micro-imprese.
Nel complesso Confcooperative Como registra, a fine 2012, rispetto all’anno precedente,
un arretramento del numero delle imprese aderenti.
E‘ la prima volta che accade dal 2004.
Il numero delle liquidazioni (13, 8 volontarie e 5 coatte) supera il numero delle nuove
adesioni (11).
Il 2013 migliora leggermente (10 nuove adesioni e 5 liquidazioni, oltre a un recesso e ad
una esclusione), ma non a sufficienza da tranquillizzarci.
Insieme alle imprese aderenti si erode anche il numero dei soci (-6%), che si attestano
sopra le 24 mila unità.
Il valore della produzione cresce (+ 4%), attestandosi, al netto del sistema del credito
cooperativo, a 131 milioni di euro.
Segna, invece, una battuta d’arresto, anche qui per la prima volta da oltre un decennio,
l’occupazione, che si riduce di 95 unità.
Frena sensibilmente la crescita del patrimonio delle imprese, nonostante gli straordinari
sforzi fatti dai cooperatori -in larga parte persone che vivono del loro stipendio, a volte
modesto - per accrescere la capitalizzazione delle loro imprese.
La capitalizzazione è la strada maestra per mettersi in condizione di crescere e di
competere. Per questo il suo rallentamento ci preoccupa.
Gli utili continuano a ridursi. Sono aumentate le cooperative in perdita.
Si appesantiscono gli oneri finanziari.
Gli effetti benefici delle misure per accelerare i ritardi di pagamento delle Pubbliche
Amministrazioni hanno iniziato a manifestarsi pienamente solo nella seconda metà del
2013.
Si è accentuato il divario tra le imprese di maggiori dimensioni e quelle più piccole.
Nella crisi vanno meglio le cooperative con una maggiore mutualità interna e con una più
alta partecipazione dei soci alla vita dell’impresa.
La fatica della democrazia interna e della partecipazione dei soci non sono una zavorra.
Al contrario. Sono una pre-condizione per fare meglio. Sono una assicurazione sulla
capacità di saper affrontare e gestire con successo le difficoltà.
L’affanno è maggiore per quelle imprese che non partecipano alle reti consortili e agli
strumenti di sviluppo imprenditoriale che queste ultime hanno messo in campo.
Per le imprese di minori dimensioni, meno capitalizzate, meno dinamiche.
Le difficoltà delle imprese si trasferiscono anche sulla vita associativa.
Maggiori difficoltà a sostenere la contribuzione e ad accedere ai servizi.
Crescenti richieste di sostegno, supporto, assistenza, accompagnamento nelle crisi.
I nostri tecnici sono sempre più spesso chiamati a gestire piani di crisi, operazioni di
ristrutturazione e rilancio, relazioni sindacali.
4. La frenata della cooperazione sociale è un fenomeno nuovo, anche se atteso e
direttamente connesso alla contrazione delle risorse pubbliche per il welfare e alle
crescenti difficoltà economiche delle famiglie.
Anche per queste ragioni abbiamo portato avanti con forza la battaglia per evitare
l’annunciato incremento dell’IVA (dal 4% al 10%) sulle prestazioni socio sanitarie ed
educative rese dalle cooperative sociali.
Un incremento del 150% che si sarebbe scaricato interamente sui bilanci già esausti degli
Enti Locali costringendoli ad ulteriori ed insostenibili tagli dei servizi di welfare oppure su
quelli, ancora più in difficoltà, delle famiglie che debbono provvedere alla cura delle
persone più fragili (bambini, anziani, portatori di disabilità...).
Con una conseguenza annunciata e segnata.
Una sensibile riduzione dell’occupazione nelle cooperative sociali.
Sembrava una battaglia impossibile, quando l’abbiamo iniziata.
Anche perché il provvedimento era sostenuto da quello che oggi sembra essere il mantra
più ascoltato nel nostro Paese: “ce lo chiede l’Europa”.
Si è trasformata in un successo.
La Legge di Stabilità attualmente all’esame del Parlamento recepisce integralmente le
nostre istanze.
Se ciò è avvenuto non è solo grazie alla sensibilità e all’impegno che la politica e i
Parlamentari -anche quelli comaschi, che ringrazio pubblicamente e a cui chiedo di
monitorare con attenzione l’iter parlamentare della norma - hanno mostrato al riguardo.
E’ perché -ed è forse la prima volta che accade, almeno in questa misura -abbiamo avuto
al nostro fianco la comunità territoriale, rappresentata dai nostri Sindaci.
Gli appelli che abbiamo rivolto alle Istituzioni Nazionali non sono stati appelli di
Confcooperative o dell’Alleanza delle Cooperative.
Li abbiamo redatti e sottoscritti insieme ai Sindaci dei principali municipi della nostra
provincia (Como, Cantù, Erba, Mariano Comense, Olgiate Comasco, Fino Mornasco,
Menaggio, Dongo), preoccupati come noi e più di noi delle ricadute sui cittadini e sulle
comunità di un provvedimento come quello immaginato.
Un provvedimento che oltre a distruggere tutele, servizi ed occupazione avrebbe avuto
come unico effetto reale quello di spostare ulteriori risorse dagli enti locali alle casse
statali, senza alcun vantaggio reale per i conti pubblici.
5. E’ questa, anche, una lezione per l’azione di rappresentanza.
Le cooperative sono ascoltate quando sono percepite come strumento per lo sviluppo
delle comunità che abitano.
Quando sono ritenute utili per la coesione sociale e lo sviluppo economico ed
occupazionale.
E’ una lezione che vale per noi e per tutte le associazioni imprenditoriali e sindacali.
In una situazione di contrazione delle risorse -pubbliche e private -non esistono rendite di
posizione di cui compiacersi o su cui cullarsi.
Attardarsi nella semplice difesa, oltre che essere sbagliato in sé, non paga.
Non serve a nulla il richiamo ai “diritti acquisiti” o al “è sempre stato così”.
La rappresentanza è efficace solo se mostra di saper perseguire interessi collettivi, beni
percepiti, dalle persone e dalle Istituzioni, come autentici “beni comuni”.
Le battaglie hanno successo e ottengono risposte coerenti, quando sono battaglie di tutti.
Battaglie per perseguire l’interesse generale e non quando sono solo la difesa delle
magari giustificate - rivendicazioni di un settore o di una parte.
E’ una lezione importante.
Perché dalla crisi questo Paese non si risolleverà grazie alla bacchetta magica della
politica o dei Governi, anche laddove dimostrassero di averla e di saperla e poterla usare.
L’azione dei corpi intermedi è decisiva e strategica.
A condizione di riscoprire, tutti insieme, la passione, il gusto e la responsabilità di mettersi
sulle spalle un pezzo di Paese e non di limitarsi a difendere i propri rappresentati e i loro
interessi di breve periodo.
A condizione di interpretare il proprio ruolo sindacale come strumento per contribuire ad
una strategia di sviluppo comune, le cui priorità sono il risultato della condivisione convinta
tra gli attori e non il prodotto di una partita a “braccio di ferro” in cui contano solo i muscoli.
Vale in generale e vale a Como.
Indica la cifra cui ancorare il rapporto tra rappresentanze economiche e sociali e politica e,
nello stesso tempo, la misura dell’impegno per qualificare ulteriormente le relazioni degli
attori economici e sociali tra loro.
6. Sono passati cinque anni dall’autunno del 2008 e siamo ancora dentro la crisi.
Dopo pochi mesi dal crollo della Lehman Brothers giornalisti e studiosi si sono affannati a
scrivere che rapidamente ci sarebbe stata la ripresa. Che tutto si sarebbe aggiustato.
Non è stato così.
E il tempo che abbiamo difronte per uscirne è lungo. Non si misura in trimestri ma in lustri.
La crisi ha accelerato i grandi cambiamenti prodotti dalla globalizzazione.
Ci siamo abituati a chiamarla “crisi mondiale”, quasi fosse una sorta di “mal comune,
mezzo gaudio”.
Ma non è così.
Dentro la crisi ci sono Paesi che crescono molto velocemente.
Paesi che si preoccupano perché crescono più lentamente di quanto vorrebbero e Paesi -
pochi in verità - che arretrano.
Purtroppo l’Italia è tra questi ultimi.
La geografia economica che abbiamo studiato a scuola -quella fatta di molti Stati, di
grande dimensione e densamente popolati, prigionieri di una perenne condizione di
sottosviluppo - sta cambiando strutturalmente e rapidamente.
Cambiano gli assetti economici e politici nel mondo. Ricchezze e poteri si spostano con
rapidità.
Viviamo -nonostante quello che ci raccontiamo ogni giorno -in un pianeta vitale, nel quale
la povertà rimane scandalosa ma diminuisce; crescono le aspettative di vita per intere
popolazioni; si moltiplicano le possibilità di interazione tra i popoli e le culture; milioni di
persone rimaste per secoli completamente escluse si affacciano vigorosamente sulla
scena.
Iniziano a “uscire dalla miseria”, a conoscere diritti, opportunità per loro inedite, benessere,
speranze di vita.
7. Sessanta milioni di italiani -meno dell’uno per cento della popolazione mondiale -possono
fare ben poco per modificare questo scenario globale.
Ma possono interrogarsi a fondo sulle ragioni per cui, dentro la crisi, le difficoltà per l’Italia
e per gli italiani sono molto maggiori che altrove.
Perché gli occhiali con cui guardiamo il futuro hanno lenti più scure di quelli di altri popoli.
Da troppo tempo il Paese non cresce. E in un mondo che corre veloce, questo significa
arretrare.
Per decenni le performances del nostro Paese sono state peggiori della media europea.
Dagli anni settanta in poi o siamo cresciuti meno velocemente della media o siamo
arretrati più velocemente.
Perché abbiamo abbandonato troppo presto l’idea di investire sul futuro, di creare
Istituzioni capaci di selezionare i migliori, di investire sulla promozione delle imprese e dei
territori.
Al contrario, abbiamo centrato il nostro Paese sulla rendita, sui consumi e sulla spesa
pubblica, sul debito.
La politica ha utilizzato le risorse pubbliche per costruire consenso.
Ha abituato pezzi di sistema economico e molte delle rappresentanze sociali, oltre ai
singoli individui, a girare sempre attorno alle risorse pubbliche.
Con il risultato che lo Stato, la burocrazia, il debito e gli interessi sul debito sono diventati
una zavorra sempre più insostenibile.
Per queste ragioni il Paese si è impoverito. Si sono ampliati i divari.
La produzione e i consumi sono entrati in una fase, quando va bene, di stallo.
Gli esclusi e i giovani sembrano non avere alcuna prospettiva di futuro.
Il 40% di loro sta al di fuori sia dei sistemi educativi che del mercato del lavoro.
E, per una larga parte del restante 60% le uniche prospettive sono quelle di andarsene a
cercar fortuna all’estero o di rimanere incatenati ad una lunga stagione di precarietà e di
marginalità.
Anche aree territoriali tradizionalmente ricche e privilegiate come la nostra hanno pagato
un prezzo rilevante.
Insieme alle fabbriche e all’occupazione abbiamo perso speranza di futuro, voglia di
metterci in gioco.
E abbiamo distrutto ricchezza e valore.
I decimali positivi di crescita che registriamo a partire da questo trimestre e quelli che le
slides dei principali Uffici Studi macroeconomici ci promettono per il 2014 non
cambieranno questa situazione.
Singoli - e piccoli, aggiungo - miglioramenti non garantiscono certo la guarigione.
8. Eppure, se guardiamo al Paese, alla nostra provincia, non mancano le situazioni positive.
Le testimonianze e le manifestazioni di una diffusa volontà di tenere duro e di reagire.
La volontà di rimboccarsi le maniche, nonostante tutto.
Sono questi gli unici veri antidoti -di cui anche i cooperatori sono parte -ad un
pessimismo inconcludente che si manifesta nella retorica del declino, della rassegnazione.
Antidoti più diffusi e più resilienti della crisi.
La voglia di aprire nuove imprese e di scommettere sul futuro, nonostante le difficoltà e le
vessazioni della burocrazia pubblica.
Nonostante si viva in un Paese che sembra osteggiare e non favorire con ogni mezzo,
come invece dovrebbe, la volontà di investire sul futuro, di intraprendere, di cimentarsi con
la sfida di creare valore per se stessi e per la comunità.
La resistenza di migliaia di imprese -spesso personali, quasi sempre piccole -per le quali
fare impresa non è gestire “un fascio di contratti”, ma portare avanti un “progetto di vita”.
Imprese il cui fine non è la massimizzazione del profitto come nei trattati microeconomici,
ma il miglioramento delle condizioni di vita proprie, della propria famiglia, dei propri
collaboratori.
Ed è un antidoto alla rassegnazione e al declino anche la rinnovata capacità dei territori
di immaginarsi un nuovo futuro di sviluppo.
Di costruire percorsi condivisi per contribuire a realizzarlo, di creare luoghi ed Istituzioni
che consentono a chi vuole mettersi in gioco di farlo con più forza e con più supporti, di
investire convintamente e congiuntamente sulle priorità strategiche per lo sviluppo del
territorio.
Lo abbiamo fatto anche a Como.
9. Ad Aldo Bonomi -e agli interlocutori che discuteranno il suo contributo -lascio
l’approfondimento di questi temi.
Il punto fondamentale è capire se e come, a quali condizioni e attraverso quali percorsi,
questi antidoti al declino e alla rassegnazione possono consolidarsi ed articolarsi per dare
corpo ad un nuovo slancio dell’economia e della coesione sociale dei nostri territori.
Mi limito a proporre due punti ulteriori dentro la discussione che seguirà.
Dalla crisi usciremo solo “re-imparando” un modo diverso di fare economia.
Per tornare a “produrre valore”, occorre diventare capaci di generare “valore condiviso”.
Un valore che sia insieme economico e sociale, capace di tenere insieme efficienza e
senso, individualismo e costruzione di comunità e di legami, innovazione, progresso
tecnico e crescita culturale.
Qualcuno ha parlato di “we-economy”.
Ma non servono le citazioni e i riferimenti culturali di matrice anglosassone.
Serve - ed è la seconda considerazione - ripartire dalle eccellenze italiane.
Quelle che hanno generato il più grande sviluppo del nostro Paese, in epoche recenti e in
altre molto più remote.
L’eccellenza costituita dalla grande tradizione dell’”economia civile”.
Quella di chi vive il mercato come luogo umanizzato. Come luogo di relazioni fiduciarie e
non rapaci.
Che legge la vicenda economica e la vita sociale come una faccenda che ha strettamente
a che fare con la cooperazione e la reciprocità tra i soggetti.
Che mette al centro e a fine dell’azione economica il “bene comune”.
Di questa storia profonda le cooperative costituiscono una delle componenti più
significative. Non da sole, certo.
E’ la storia delle imprese familiari. Che sono pur sempre il 90% dell’intero settore privato.
E’ la storia dei nostri distretti industriali. Dove imprese e comunità intere hanno
sperimentato lo sviluppo economico senza cessare di essere comunità.
E’ la storia delle banche mutualistiche e territoriali, che hanno accompagnato e sostenuto
lo sviluppo di quelle imprese e di quei distretti.
Certo, di questi modelli oggi vediamo anche le crisi; vediamo le difficoltà ad adattarsi ai
nuovi paradigmi della competizione globale.
Ma è da questa storia di eccellenza che bisogna ripartire.
10. Un’Italia che si rimette in moto, un Italia con più fiducia, ha bisogno di più cooperazione e
anche di più cooperative.
Perché siamo imprese della comunità.
Di persone che scelgono la comunità come l’orizzonte decisivo della propria azione
imprenditoriale.
Perché siamo imprese della democrazia e della partecipazione.
Perché siamo imprese dell’economia reale. Imprese che non danno stock options ai propri
dirigenti e che non delocalizzano.
Che non si gettano nelle avventure speculative, anche quando fanno finanza, come le
Banche di Credito Cooperativo.
Non girano il mondo alla ricerca di rendite volatili, ma, al contrario, reinvestono le risorse
affidate dai depositanti nel medesimo territorio che le ha generate, sostenendo famiglie ed
imprese.
Per queste ragioni siamo un asset strategico per lo sviluppo del Paese. Una risorsa per lo
sviluppo del territorio e della comunità che abitiamo.
Una comunità il cui futuro ha il medesimo orizzonte del futuro delle nostre imprese.
Ho ricordato prima che a partire dal secondo semestre del 2012, la lunga fase di crescita
anti ciclica dell’economia cooperativa sembra essersi esaurita.
Ma - anche per l’economia cooperativa - è vero quel che vale in generale.
La ripresa non possiamo limitarci ad attenderla.
Non sarà il vento di una congiuntura favorevole -che speriamo arrivi e si consolidi -a
riportarci al largo. Stare fermi ad aspettarlo al massimo ci costringe alla deriva.
Non si esce dalla crisi tornando quelli di prima.
Al contrario -nella consapevolezza delle difficoltà che le nostre imprese, il territorio, il
Paese stanno attraversando -occorre dirsi e darsi una strategia all’altezza delle sfide e
delle ambizioni che abbiamo delineato.
11. Questo chiama in gioco, in primo luogo, la natura, il ruolo e la missione dell’Unione e delle
sue strutture di servizio alle imprese.
A partire dalla concezione della rappresentanza e dell’”essere sindacato” di imprese che
ho tratteggiato prima. Ma questo, da solo, non basta.
All’associazione e alle sue strutture consortili tocca un supplemento di impegno.
Per accompagnare, orientare, sostenere ed incoraggiare le cooperative.
E’ proprio negli scenari difficili e incerti che serve il massimo di responsabilità e di
coesione.
E, insieme, il massimo di innovazione.
Se le imprese non usciranno dalla crisi tornando “quelle di prima”, anche i servizi e i
supporti dell’Associazione non potranno più essere “quelli di prima”.
Le cooperative ci seguiranno solo se ci percepiranno come utili.
Se crescerà la nostra capacità di mettere in campo servizi di nuova generazione per il loro
sviluppo imprenditoriale; se sapremo essere “incubatore” di nuove ed efficaci imprese
mutualistiche; se sapremo accompagnarle lungo le sfide evolutive decisive per il loro
sviluppo.
Non sono tempi da gestire con la normalità della routine burocratica ed organizzativa.
Anche quando questa, guardando ai numeri e confrontandosi con le realtà simili alla
nostra in Lombardia o nel Paese, potrebbe darci ragioni di compiacimento e di
soddisfazione.
E’ solo per questa ragione che con gli amici dell’Unione Provinciale di Varese abbiamo
realizzato un percorso a tappe forzate che porterà, il prossimo 13 dicembre, Massimo Galli
e Stefano Panzetta a sottoscrivere l’atto di fusione tra le nostre due società di servizio alle
imprese.
Dal primo gennaio 2014 inizierà la piena operatività su entrambi i territori “EUREKA -
SERvizi alla COOPerazione”.
Una ragione sociale che fa sintesi di quelle delle due realtà preesistenti.
Per testimoniare l’intenzione di rimanere fedeli alla nostra storia e al nostro territorio e, nel
contempo, di superarli.
Potevamo stare più tranquilli rimanendo ciascuno a casa propria. Organizzando e
cercando di far funzionare al meglio le strutture esistenti.
Sarebbe stata una battaglia di retroguardia. Non avremmo perseguito il mandato che le
cooperative ci hanno assegnato.
Abbiamo scelto di immaginare un futuro diverso. Di giocare fino in fondo -e senza reti di
protezione -la sfida di costruirlo.
Un futuro -lo dico con le parole del documento conclusivo della Conferenza Organizzativa
di Confcooperative -in cui vogliamo “rendere più accessibili alle cooperative i servizi,
favorire la massima efficienza della loro produzione ed erogazione, sviluppare l’evoluzione
dei servizi di fascia alta”.
Nasce una realtà di servizi alle imprese che, già oggi, nel sistema Confcooperative è la
seconda in Lombardia, tra le prime 10 in Italia.
Per volumi di attività, per professionalità e competenze in campo, per numero di addetti.
Ci impegneremo, insieme ai nostri collaboratori, perché rapidamente diventi la prima nella
capacità di accompagnare le imprese lungo le sfide che ho tracciato.
Per la capacità di offrire servizi di promozione, assistenza tecnica, consulenza, controllo di
gestione, finanza, formazione....
12. Ma il percorso che abbiamo intrapreso non si fermerà qui.
Proseguiremo -a tappe altrettanto forzate -per valutare insieme ai cooperatori varesini,
tempi e modalità con cui integrare e fondere anche le due Unioni Provinciali.
Lo faremo, ovviamente, in piena sintonia con Confcooperative Lombardia e
Confcooperative e nel pieno rispetto delle procedure previste dagli statuti associativi.
Non so se questa sarà l’ultima Assemblea annuale di Confcooperative Como.
So che a me piacerebbe che la prossima Assemblea annuale sia la prima di
Confcooperative Insubria.
So che questo è anche il pensiero di Massimo Galli, Presidente dell’Unione di Varese, che
molti di voi hanno conosciuto solo stamattina.
So che i Gruppi Dirigenti di Como e di Varese sono seriamente impegnati a portare a
compimento questo processo.
So che realizzandolo saremo attuatori coerenti del grande disegno di riarticolazione e di
efficientamento della presenza territoriale che Confcooperative ha lanciato a livello
nazionale con l’ultima Conferenza Organizzativa.
E che, anzi, costituisce la “prima scelta organizzativa” della Conferenza.
E so, infine, che lo stiamo facendo non per necessità o perché ci viene chiesto dall’alto,
ma per convinzioni profonde.
Perché sentiamo il bisogno di dare alle nostre imprese una rappresentanza più adeguata,
più forte e più coesa.
Perché nei tempi di crisi le cooperative chiedono di più all’Associazione, ma l’Associazione
non può chiedere di più alle cooperative.
E, dunque, crescono le esigenze di efficienza economica e di razionalità organizzativa.
Perché quanto di positivo abbiamo sin qui costruito acquista ancora più senso se lo
mettiamo interamente in gioco quale punto di partenza di un ulteriore cammino evolutivo.
Solo per i paracarri il senso sta nell’essere solidi e, al contempo, immobili.
Perché ai dirigenti associativi tocca soprattutto guardare al futuro, con l’unico obiettivo di
consegnare ai cooperatori un’Associazione più forte e più strutturata di come l’hanno
ricevuta.
E, infine, perché una rappresentanza all’altezza dei tempi richiede sinergie, massa critica,
circolazione di esperienze, idee, buone pratiche.
E’ quanto stanno facendo altri con noi, ciascuno per strade proprie ed originali.
Penso, a Como, alla recente fusione tra Api e Confindustria e alla nascita di Unindustria.
Oppure all’analogo percorso di integrazione territoriale che ha portato, sul fronte sindacale,
alla nascita la scorsa primavera della “Cisl dei Laghi”.
O su scala nazionale alla progressiva integrazione delle associazioni di rappresentanza
delle imprese dell’artigianato e del commercio in “Rete Imprese Italia”.
13. Insieme all’integrazione territoriale con Confcooperative Varese, proseguiremo lungo il
percorso dell’”Alleanza delle Cooperative”, con Agci e Legacoop.
E’ una scelta avviata e dalla quale non si tornerà indietro.
L’Alleanza serve a fare meglio quello che ogni singola Associazione prima faceva da sola.
Serve a riuscire a fare insieme quello che le singole Associazioni prima non riuscivano a
fare.
E’ stata sin qui una scommessa vincente.
Ha accresciuto la visibilità e l’autorevolezza del movimento cooperativo.
Ci ha resi co-protagonisti di un processo di coesione e di semplificazione
dell’associazionismo imprenditoriale.
In tre anni di vita l’Alleanza è progredita e si è articolata.
Nel 2012 si è completata la costituzione delle Alleanze settoriali.
Nel 2013 si è avviata - anche in Lombardia -la costituzione delle Alleanze regionali.
La leadership di Confcooperative -per numero di aderenti e per articolazione della nostra
presenza territoriale -ci impone un dovere e una responsabilità ancora maggiore, di
iniziativa, di sollecitazione, di proposta.
Anche e soprattutto, per quanto ci riguarda, a Como, dove in molti e qualificati contesti, a
cominciare dal Consiglio Camerale, sempre più spesso siamo chiamati a rappresentare
l’intero sistema cooperativo e non solo le imprese aderenti alla nostra Associazione.
Il dovere di contribuire a consolidare ulteriormente il profilo e la capacità di proposta
dell’Alleanza. L’autorevolezza dell’azione di rappresentanza.
Il dovere di far progredire una visione lucida e convincente e di successo del futuro
cooperativo.
Il dovere di dare all’Alleanza maggiore radicamento e concretezza, perché le cooperative
ne hanno bisogno e si aspettano di riceverne vantaggi effettivi e misurabili.
Il cammino dell’Alleanza prosegue in coerenza con la missione originaria.
Non sono all’ordine del giorno scorciatoie o fughe in avanti.
Non è il tempo delle “fusioni a freddo” o delle soluzioni di ingegneria organizzativa che ci
riporterebbero ai fallimenti di precedenti tentativi di unificazione.
Ma nello stesso tempo è un cammino irreversibile.
14. Sono questi gli scenari entro cui riarticoleremo la rappresentanza e l’azione sindacale.
Ma la rappresentanza, l’associazione, non è un fine ma un mezzo.
Come sempre mi ricorda Alberto, “le cooperative vengono prima della Confcooperative”.
La riarticolazione della rappresentanza serve soprattutto per concentrarci di più e meglio
sui problemi delle imprese cooperative.
Sulla loro tenuta, sul loro adattamento, possibilmente sulla loro evoluzione competitiva.
E la lettura dell’impatto della crisi sulle cooperative, che poco fa ho tratteggiato, ci indica
con chiarezza punti di forza e punti di debolezza.
Ci indica su quali linee agire per rafforzare le cooperative.
Le linee della qualità cooperativa, anzitutto. Sostenere la mutualità e la partecipazione.
Quelle della capitalizzazione e della crescita dimensionale delle imprese.
Quelle della crescita quantitativa e qualitativa dell’integrazione consortile e in rete.
Quelle dell’ancora maggiore integrazione tra cooperazione di credito e cooperazione di
altri settori.
Quelle dello sviluppo della produttività e della modernizzazione.
Quelle dell’innovazione sociale e della promozione di nuova imprenditorialità, soprattutto
tra i giovani e nelle professioni della conoscenza, della cultura e della creatività.
Altre saranno -a Como e a Varese -le occasioni per declinare in specifiche azioni di
sviluppo e di supporto alle imprese queste linee generali di intervento che costituiranno il
DNA della società comune.
Ma queste linee costituiranno l’unica cartina di tornasole con cui misurare l’efficacia, il
successo o l’insuccesso delle scelte che insieme abbiamo compiuto e compiremo.
In questo tempo difficile, si vince solo immaginando e costruendo un futuro diverso per le
cooperative e per i cooperatori.
Solo a queste condizioni ha senso un’Associazione; ha senso la rappresentanza, i servizi
e il supporto che offre alle imprese.
Se non fosse così basterebbero i commercialisti e i consulenti o le associazioni bonsai e
“fai da te” che, anche nel mondo cooperativo, molti si affannano a far nascere.
15. Le difficoltà economiche, sociali, politiche che stiamo vivendo si traducono in altrettante
emergenze.
Ai cooperatori tocca attrezzarsi per saperle affrontare.
La forza del movimento cooperativo, la sua credibilità ed il suo prestigio, stanno tutte nella
sua capacità di costruire soluzioni per esigenze insoddisfatte delle persone e delle
comunità.
Nella capacità di rendere attuale il modello cooperativo per far fronte ai nuovi bisogni che i
territori esprimono.
Apportando vitalità a un Paese ed a un territorio che ne hanno bisogno.
I cambiamenti sociali e demografici ci pongono sfide ineludibili.
Nel welfare, anzitutto. Nell’equità tra le generazioni.
Nella costruzione di un Paese veramente capace di accogliere e integrare chi lo raggiunge
e di essere davvero interculturale.
Le nuove tecnologie pervadono la nostra quotidianità. Modificano il modo con cui facciamo
ogni cosa.
Ma, soprattutto, incidono in profondità nelle modalità di relazione interpersonale.
Cambiano il nostro modo di essere.
Non è un caso che la più grande impresa mutualistica del mondo stia proprio sul web,
Wikipedia.
Siamo inseriti in un contesto che apre e allarga gli spazi d’azione per l’impresa
cooperativa.
Non serve attardarsi nelle lamentele su “come va il mondo” e nemmeno alzare richieste
impossibili alla politica, immaginando il sostegno di risorse pubbliche che non esistono più
e sempre meno esisteranno nel prossimo futuro.
Dobbiamo noi essere all’altezza. Essere capaci di ripensare il progetto cooperativo del
futuro.
Costruire “la novità nella continuità” di cui ci ha parlato Papa Francesco.
Declinando nuovi spazi di azione mutualistica e una maggiore capacità di fare rete tra le
nostre imprese e con tutti gli attori sociali ed economici del nostro territorio.
A cominciare da quelle organizzazioni (Compagnia delle opere, Confartigianato, Cisl, Acli)
cui ci legano non solo la condivisione di tante azioni, ma, soprattutto una profonda
comunanza di valori, di tradizione, di identità.
Elementi che ci legano e che vanno coltivati con energia, costanza ed assiduità.
Che dobbiamo saper tradurre in dialogo permanente, in collaborazioni stabili e strategiche,
in ulteriori iniziative comuni.
16. Concludo con alcuni orizzonti del futuro cooperativo che siamo chiamati a costruire e a
mettere in campo.
Occorre al nostro Paese un nuovo welfare.
Quello che abbiamo conosciuto si è rotto. Non funziona più.
Schiacciato, prima ancora che dalla contrazione delle risorse pubbliche e dalle scelte della
politica, dai cambiamenti demografici, dall’allungamento delle aspettative di vita,
dall’emergere di nuovi bisogni, dal moltiplicarsi e dal frammentarsi delle domande.
Non è un caso che la più grande spesa per servizi di welfare sia, in Lombardia, quella per
le cosiddette badanti. Magari “in nero”.
Non se ne esce dentro la classica alternativa stato o mercato.
E nemmeno con le Amministrazioni Locali che cercano di risparmiare qualche risorsa o
rispettare il patto di stabilità interno, appaltando qualche altro servizio all’esterno o
realizzando società a controllo pubblico per la gestione privatistica dei servizi.
Se ne esce lavorando insieme -cooperazione sociale e Enti Locali -a ri-progettare il
welfare locale e di prossimità. Integrando strutture, risposte, soluzioni.
Valorizzando il protagonismo auto-organizzato dei cittadini.
Trasformando i portatori dei bisogni e delle domande in protagonisti attivi della costruzione
delle risposte.
Per questo chiediamo alle Amministrazioni Pubbliche locali di essere autentici coprotagonisti
della progettazione dei servizi di welfare territoriale.
Certo, è più semplice costruire degli appalti e convocare le cooperative sociali a
partecipare alle gare. Magari gare, più o meno surrettiziamente, impostate al principio del
massimo ribasso economico.
E’ più semplice anche per i cooperatori sociali, che ormai ci hanno fato l’abitudine, studiare
capitolati e inseguire bandi.
Ma, per questa via,non si costruiscono imprese solide, protagonismo sociale e,
soprattutto, non si costruisce un nuovo welfare.
Un welfare che esisterà solo se saprà essere inclusivo, aperto, solidale, imprenditivo,
innovativo.
Per le stesse ragioni ci piacerebbe che quelle associazioni imprenditoriali -Unindustria
Como su tutte -più impegnate nella costruzione e nello sviluppo di una rete di “welfare
aziendale”, ragionassero non solo e non prevalentemente di erogazioni monetarie con cui
“aiutare le persone ad aiutarsi”, ma si cimentassero con noi nella sfida di costruire risposte
mutualistiche ai bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie.
Per queste ragioni, infine, stiamo lavorando su scala nazionale per mettere in campo con
rapidità un progetto concreto e qualificato di Mutua Sanitaria, rivitalizzando la tradizione
antica delle Società di Mutuo Soccorso.
17. E oltre al welfare tanti altri sono i campi di promozione e sviluppo di nuova cooperazione
su cui misurarci.
Non per fare cose vecchie con modi nuovi. Ma per stare sul fronte dell’evoluzione
economica e sociale e rispondere alle emergenze fondamentali del Paese.
A cominciare dalla possibilità -attesa e invocata per decenni -di costituire finalmente
cooperative tra professionisti.
Un campo che si apre, anche per un numero crescente di professioni non regolamentate.
Servono relazioni, collaborazioni con gli ordini, le associazioni sindacali dei professionisti,
le tante associazioni delle professioni non regolamentate.
Proseguendo, mettendo a tema il nodo delle modalità più efficienti ed opportune di
gestione dei servizi di interesse pubblico, dei beni comuni delle nostre città
Dalle farmacie -per citare una recente esperienza o, meglio, un’occasione perduta
comasca - al patrimonio immobiliare, sino ai trasporti alle utilities.
Significa proporre e gettare le basi per la costruzione di una cooperazione di utenza in
mercati sino ad oggi monopolizzati da aziende municipalizzate, spesso inefficienti e quasi
sempre al servizio più della politica che dei cittadini, o aperti a privatizzazioni senza
controllo da parte dei cittadini-utenti.
Perché se è vero che l’impresa for-profit non sempre è la soluzione ottimale per gestire i
beni comuni delle nostre città, è altrettanto vero che pubblico non è necessariamente
sinonimo di statale o di comunale.
L’interesse pubblico non si persegue unicamente con la gestione pubblica diretta dei
servizi.
Molte esperienze sono lì a dimostrarcelo in ogni campo.
L’obiettivo vero dovrebbe essere quello di lavorare a far nascere nuove forme di imprese
civili e mutualistiche, capaci di garantire l’efficienza della gestione -e, quindi, anche con la
presenza di imprenditori capaci -ma partecipate e che si pongano scopi più grandi della
semplice realizzazione di un profitto.
18. Le cooperative, infine, hanno un talento particolare per l’auto-impiego e l’autoimprenditorialità,
che oggi sono la strada maestra per rilanciare l’occupazione.
Dobbiamo anzitutto progredire nella capacità di promuovere e comunicare il valore e le
potenzialità della formula cooperativa.
E mettere in campo servizi e strumenti adeguati, anche di formazione imprenditoriale,
efficaci e compatibili con queste tipologie di nuove imprese.
Ancora una volta sono le emergenze a suggerirci i terreni di intervento. Ad imporceli.
Quella delle fabbriche che chiudono e nelle quali lo strumento cooperativo può diventare la
risposta per chi viene escluso dal mercato del lavoro.
Per ridare una prospettiva dignitosa a chi ha difronte solo una vita di ammortizzatori sociali
e di precarietà, rigenerando lavoro ed occupazione.
Quella -attualissima in questi giorni -della protezione civile, della difesa del suolo, della
cura del territorio.
La cooperazione può fare in questo ambito quello che la cooperazione sociale ha fatto con
il welfare.
Quella, infine, di intercettare i giovani che svolgono nuovi mestieri, manuali o intellettuali,
muovendosi perennemente al confine tra precarietà e free-lance, che nella cooperazione
possono trovare sostegno, dignità personale e professionale, prospettive realistiche.
La cooperazione può essere la risposta più adeguata per iniziative di autoimprenditoria
che spesso si muovono in ambiti innovativi o in “reti social”; per le start-up giovanili più
innovative; per tutti quei soggetti che sono alla ricerca di luoghi e reti in cui incontrarsi e
contaminarsi, di esperienze consortili e di co-working attraverso cui crescere più
rapidamente, con più solidità e successo.
19. So di rubare una citazione a qualcuno.
Alfredo Ambrosetti era solito dire che senza sviluppo il nostro futuro sarà grigio.
Parlava dello sviluppo. Non parlava della crescita.
Ma, continuava ammonendo che non potrà esserci sviluppo senza visione strategica,
senza innovazione, senza coesione.
Vale per i cooperatori e le cooperative così come vale per i territori ed i Paesi.
Le cooperative hanno in sé la possibilità di contribuire a disegnare un futuro che non sia
grigio.
La possibilità di contribuire a dare vita ad un progetto di sviluppo che contribuisca a dare al
nostro territorio e al Paese una rinnovata voglia di protagonismo, di fiducia e di speranza
nel futuro. Non possiamo deludere queste aspettative.
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