Annibale Cressoni vero tesoro comasco: merita una statua

A 200 anni dalla nascita è tempo di realizzare l’omaggio che ai suoi amici fu letteralmente rubato. Online il VIDEO che ricorda la campagna per riaprire il suo teatro, sotto il quale sono state poi trovate le mille monete d’oro romane

Dopo la morte di Annibale Cressoni, gli amici organizzarono uno spettacolo commemorativo nel suo teatro. Puntavano a raccogliere i fondi necessari per dedicargli un busto, ma un destino beffardo si accanì contro la lodevole iniziativa e la memoria del nostro concittadino: l’incasso fu rubato.

Oggi i tempi sono maturi per scolpire indelebilmente la sua figura nella materia e nel ricordo di tutti quelli che si troveranno a passare dove sorgeva il Teatro Cressoni. Personalmente me lo immagino che si affaccia (un po’ come l’Innocenzo XI di Eli Riva in via Odescalchi) dalla facciata dell’edificio di via Diaz, più o meno all’altezza della stanza dove spirò il 3 ottobre 1881, mentre in sala si dava una commedia. Questo obiettivo dovrebbe essere più facilmente raggiungibile, anche sotto il profilo economico, di quello di restituire lo stabile alla funzione originaria, purtroppo sfuggito alla fine dello scorso millennio. La scultura potrebbe offrirla Officine Immobiliari Srl, la società che nell’ex Teatro Cressoni sta realizzando dieci appartamenti, un negozio e 35 box. Magari reinvestendo in quest’opera una quota del “premio” che nei giorni scorsi il titolare, Saba Dell’Oca, ha rivendicato, normativa alla mano, dalla Soprintendenza per aver riportato alla luce, nel settembre del 2018, il “tesoro” di mille monete romane sepolte sotto le fondamenta dell’edificio dal V secolo.

Sperando che il destino, e soprattutto la scarsa propensione degli amministratori cittadini a pensare alla cultura, non abbia in serbo nuove beffe. Basti ricordare che una caccia al tesoro Cressoni la seguì da cronista nel 1852 sul suo giornale. Quello cercato vicino alla Porta della Rana, sul lato Nord del Duomo, da un imprenditore edile comasco, Carlo Ferrario, assoldato dal prete svizzero don Giacomo Morinini, che aveva preso per vero un documento del 1470 a firma di tale Carlo Antonio Martino Pedretti di Rivera. Su quel foglio stava scritto che sotto la «rana scolpita» si trovavano «una cassa di ferro con argento», un’altra «con dentro un cadavere» e una terza «piena d’oro». Il tesoro, quella volta, non fu rinvenuto , ma resta interessante il dibattito, ricostruibile proprio attraverso “Il Corriere del Lario”, sulla eventuale destinazione della quota del 20% appannaggio del Comune: Morinini chiese che fosse vincolata alla costruzione di un Conservatorio, Cressoni scrisse che l’accademia musicale la si sarebbe dovuta realizzare a prescindere... e la Municipalità bocciò entrambe le proposte.

Quasi 150 anni dopo fu sempre il sindaco di turno, Alberto Botta, peraltro l’ultimo ad avere avuto una visione lungimirante (quella di Como città universitaria, disattesa dai successori), a gelare le speranze del comitato, fondato da Mario Bianchi e Alberto Barelli nell’ottobre del 1998, per riportare la cultura nell’edificio di via Diaz: disse di preferire un supermercato.Eppure quella campagna, giornalistica e civile, durata due anni e raccolta da chi scrive nel libro “La scena immaginata. Storia di un teatro che non c’è” (NodoLibri, 2002), è stata importante per restituire ai comaschi la memoria di Annibale Cressoni. Se oggi si parla del “tesoro del Cressoni” (e non del cinema Odeon o Centrale, funzione e nomi che la sala assunse dal 1913 al ’97), è grazie all’insegna provvisoria che fu ripristinata per l’ironica inaugurazione messa in scena il 20 dicembre 1998, ricalcando quella originale del 30 dicembre 1870. Da allora mani amorevoli si prendono cura anche della tomba di Cressoni al cimitero cittadino. Di quella serata resta un filmato, che Mario Bianchi ci ha messo a disposizione e che potete vedere sul canale youtube dell’associazione Sentiero dei Sogni, in cui lo stesso fondatore del Teatro Città Murata (compagnia che promosse l’evento assieme al Consorzio Como turistica) interpreta Cressoni e ci ricorda che «il grado di civiltà di una città lo si misura dalla quantità e dalla qualità degli spazi dedicati [...] al suo innalzamento culturale».

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