Musica
Lunedì 11 Aprile 2011
Band: anarchici Radiohead
prigionieri di un «non cliché»
All'insegna del "famolo strano" questo “The king of limbs”, che ha raggiunto da poco i negozi, non certo un'opera malriuscita ma per la confusione ingenerata dalle recenti operazioni del quintetto. Esaurito il contratto con la major Emi, Thom Yorke e compagni hanno optato per un'indipendenza ostentata fin dalla decisione di regalare il download di “In rainbows” (era a offerta libera ma si poteva anche dare zero, e quindi...) vendendolo, poi, un un cofanettone pieno zeppo di tutto andato presto esaurito
Giunti all'ascolto di “Little by little” sembra di ritrovarsi, in pratica, nella terza parte di una medesima, inquietante suite, dove la band si rifiuta categoricamente di scrivere pezzi canonici (con strofa, ritornello, variazione) confermando, quindi, la teoria del “famolo strano”. “Feral”, infine, è davvero ferale: al loop ritmico di turno si sovrappone una parte vocale “montata” partendo da piccoli frammenti, con funebri echi ecclesiastici. Il pezzo, però, è anche finale: bisogna immaginare di girare il padellone in vinile e accedere ai successivi quattro titoli. “Lotus flower” è la cosa più simile a un singolo e, così, la band l'ha scelta per promuovere il disco con il video, ormai famoso o famigerato, dove Yorke balla in bianco e nero con movenze tra lo spastico e lo spassoso. “Codex” è una ballad pianistica che poteva tranquillamente trovare posto su “Kid A / Amnesiac”: per chi amava la band di dieci anni fa il pezzo migliore dell'album. Le chitarre acustiche conducono il folk spettrale e postmoderno di “Give up the ghost” mentre la conclusiva “Separator” è una via di mezzo tra la sperimentazione delle prime canzoni del disco e la minor pretenziosità di queste, irrisolta come, in fondo, tutto “The king of limbs”. Prigionieri di un “non cliché”?
Alessio Brunialti
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