
(Foto di Butti)
Lo sponsor e consigliere del club si prepara alla finale playoff con Scafati
La grinta è sempre la stessa. Da inguaribile innamorato della Pallacanestro Cantù. Lo era da tifoso sugli spalti.
Lo è adesso, che ha deciso di marchiare con il fuoco il brand di famiglia (Acqua S. Bernardo) su maglie che d’improvviso, in suo onore, sono diventate biancoverdi, o verdebianche a seconda dell’utilizzo.
Antonio Biella, insomma, e lo avrete capito, non è uno sponsor e basta. Uno sponsor qualunque. È un tifoso canturino, oltreché rappresentante del consiglio di amministrazione della società.
Restano tre vittorie per arrivare dove dovremo essere. Anzi, quattro.
E no. Quattro, perché io voglio anche lo scudetto dell’A2, quello che si giocheranno le vincitrici delle due finali, con la promozione già in tasca. Io non mi accontento mai.
Per me, anzi per noi come azienda e famiglia, sarebbe la degna chiusura del cerchio.
La chiusura di un primo cerchio, tranquilli. Perché dopo essere scesi in A2 con il nostro nome sulle maglie, adesso vogliamo fare di tutto per ritornare in A con le stesse nostre divise. Mi pare normale come ambizione. Non trovate?
Poi, sia chiaro, io resto a totale disposizione della società. E i miei soci, i dirigenti, lo sanno. Era inteso fin dal primo giorno.
Significa che in presenza di un’azienda con un orizzonte e una potenzialità superiore alla mia, sono disposto a fare un passo da parte. Lasciando strada, ma non abbandonando la Pallacanestro Cantù. E lo ripeto: non abbandonando.
Infatti.
Allora, come vi ho già detto, l’appetito vien mangiando.
Sono sempre stato fiducioso, questa squadra mi è piaciuta fin dal primo momento.
Il modo in cui sono state superate le difficoltà. Il Covid, l’americano Robert Johnson no vax e l’infortunio a Luigi Sergio. Oltre ai cari grattacapi che accadono a tutti in una stagione e che quindi erano di per loro già nel preventivo.
Diciamo che certe situazioni, per mia inclinazione, paradossalmente non fa male averle. E recuperare e superarle è meglio ancora che non trovarsele solo tra i piedi.
No, lo sto dicendo concretamente. Sapete che vi aggiungo? Che tutti i problemi che la squadra ha dovuto affrontare non hanno fatto altro che rafforzarla. Ce ne stiamo accorgendo adesso e ne avremo la conferma anche in finale, vedrete.
Una sorta di misurazione delle capacità di un gruppo. E questo ne è venuto fuori alla grande, confermando quei valori, sportivi e morali, che accompagnavano i ragazzi al loro arrivo a Cantù. Gente abituata a lottare e che ha lottato, e tanto, per tutta la stagione.
Togliete pure il dicono.
Tutte le squadre di Cantù le sento un po’ mie. Adesso, poi, che sono parte in causa ancora di più. Fosse per me, non cambierei mai nessuno, non taglierei mai un giocatore.
Impressione esatta. Aiuta, e non poco, il fatto di contare su otto giocatori italiani e solo due stranieri. È un po’ come fare un salto indietro nel tempo, a quella Clear Cantù che con solo due americani mi aveva fatto innamorare di questo gioco, di questi colori e di questa città. Riconosco, però, che dovrei provare a distaccarmi un po’ dall’aspetto emotivo.
Va beh, allora vedremo.
Eccome. Partita da favorita, e non c’era alcun dubbio, visto il roster. Con quell’alone un po’ snob, quasi da puzza sotto il naso. Poi ha saputo cambiare, trovando una sua identità ben precisa. E io ho chiaro il momento della svolta.
L’infortunio di Gigi Sergio. Lì l’atteggiamento è cambiato, totalmente. L’ho letto negli occhi e negli sguardi dei giocatori. Quasi si cominciasse a ragionare seriamente sul destino del gruppo e di ognuno.
So a cosa vi riferite.
Vi fermo, so che vi riferite al giocatore che abbiamo aggiunto. E che giocatore, non uno qualunque, ma un ex Nazionale come Luca Vitali. E poi al fatto che sia siano vinti quarti e semifinale con un 3-0 e in 3-1.
No, no. Prego...
Succede che dobbiamo pensare di tornare in A1. Ce l’hanno chiesto la gente, gli sponsor e l’ambiente. Dobbiamo e possiamo, ne sono sicuro. Anche perché è fondamentale per il nostro destino.
Che bello, che emozione. Loro sì, sono già da serie A. La tifoseria più importante del campionato. In casa e fuori.
Pensando a ogni azione, più che a ogni partita. E lottando su tutti i palloni.
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