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Lunedì 12 Ottobre 2009
Box, il vecchio Woody Guthrie
rispolverato per spendaccioni
Recuperati 54 pezzi del Grande Padre della canzone d’autore americana in “My dusty road”, un box dalla bellissima confezione sulla lunghezza di quattro cd. Una riscoperta miracolosa
COMO Facciamo una simulazione, un gioco di ruolo, un reality, insomma... Immedesimatevi nella parte. Dunque: siete un produttore e imprenditore discografico di belle speranze negli Usa del 1944, manca poco alla fine della guerra, voi vi guadagnate da vivere registrando musica folk e pubblicandola su padelloni fragilissimi. Le matrici di quelle incisioni, in solido metallo, rappresentano tutto il vostro patrimonio come etichetta. Tra l’altro tra queste ci sono i brani di un cantautore che non sarà famoso come Sinatra (che non era ancora così famoso all’epoca), non sarà un divo ma vende bene e, soprattutto, i suoi pezzi diventano patrimonio comune, si cantano dalla costa East a quella Ovest, le cantano i bianchi ma anche i neri, i grandi e pure i piccini. Insomma, sapete che quelle matrici sono un patrimonio. Cosa fareste? Le conservereste con la massima cura certi di assicurare un patrimonio culturale e musicale ai posteri e, al contempo, garantendovi di ripubblicare all’infinito quei pezzi guadagnando un bel gruzzolo? Probabilmente sì. Herbert Harris e Moses Ash, titolari della Stinson e della Folkways, rispettivamente, neanche per il cavolo: si sono persi duemila (2.000, due volte mille) matrici ricomparse miracolosamente nello scantinato di una vecchietta di Broccolino che non sapeva di custodire anche 150 incisioni di Woody Guthrie, il Grande Padre della canzone d’autore americana, il cantore degli oppressi, l’amico degli umili, quello di “This land is your land” e tantissime canzoni che, in qualche modo, sono diventate patrimonio comune non solo nel Nuovo ma in tutto il Mondo. Il primo frutto di questa clamorosa riscoperta è “My dusty road”, un box dalla bellissima confezione che allinea 54 di quei pezzi sulla lunghezza di quattro cd. A proposito: su tutte quelle canzoni, quante sono inedite? Tutte? La maggior parte? Signornò: solo sei. Le altre si erano già ascoltate anche se erano state ripubblicate su microsolco e su disco compatto ricavandole dai fruscianti settantotto giri dell’epoca. Insomma, come spesso accade in discografia, noi paghiamo la disattenzione e la dabbenaggine dei discografici che si perdono le cose, non sanno neanche cosa hanno in casa, mentono spudoratamente (clamoroso il caso delle ristampe di Hendrix, garantite come ottenute dai master originali che, invece, erano comunque di seconda generazione, gli originali stavano altrove e quando li hanno pubblicati occorreva comunque uno stetoscopio per carpire la sottilissima differenza). Sorge spontaneo il dubbio che lassù, ai piani alti della discografia, anche se l’etichetta è la piccola Rounder, si cerchi di difendere una postazione già conquistata dal “nemico”: queste canzoni sono di dominio pubblico, chiunque può realizzare una sua particolare edizione di questi pezzi perché i diritti sulla registrazioni sono scaduti. Si possono perfino scaricare impunemente da Internet senza rendere conto a nessuno.
Queste “scoperte” permettono di continuare a battere cassa e, quindi, forse, Harris e Ash, invece che fresconi sono stati incredibilmente lungimiranti, seppellendo un tesoro che più di mezzo secolo dopo consente ai loro eredi commerciali di prosperare ancora. “My dusty road”, ovviamente, allinea un capolavoro dopo l’altro e la voce e la chitarra di Woody (e di Cisco Houston e Sonny Terry quando ci sono) non erano mai sembrate così vivide. Per completare l’opera ci vorranno almeno altri due cofanetti che si potrebbero intitolare “My empty pockets”, “le mie tasche vuote”.
Alessio Brunialti
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