Quando diventano guerre stellari, si conquistano un pubblico da record. Così le vicissitudini burocratiche della D-Orbit (l’azienda di Lomazzo che vuole tenere pulito e sicuro lo spazio) hanno giustamente attirato l’attenzione nazionale.
Ma per un’impresa che non riesce a decollare come vorrebbe - peggio, come potrebbe - per motivi incomprensibili sul pianeta (tranne in un fazzoletto di terra di nome Italia), moltissime altre sono alle prese con battaglie quotidiane. Regole, regolette, nuove, ripescate, retroattive: c’è l’imbarazzo della scelta. E quando sembra di intravedere una luce, un chiarimento sulla loro reale portata, si insinua puntuale un altro nemico spaventoso: l’interpretazione. Comune che vai, lettura del regolamento che trovi. C’è questo passaggio normativo: in un paese ha un significato, in quello accanto potrebbe assumerne un altro.
È possibile fare impresa così? Ci ripetiamo di no da sempre, lo ribadiamo con mestizia e rabbia di anno in anno. Oggi più che mai, perché dovendo competere con il mondo, talvolta appare limpida e desolante un’immagine: noi che partiamo con armi già spuntate. Sì, abbiamo il genio, la creatività, la passione. Ma quando si trovano davanti i muri, non sempre l’ingegno permette di superarli.
Poche ore prima del caso D-Orbit, l’assemblea di Confartigianato Como riportava l’attenzione anche su questo tormento che pare non esaurirsi mai: il mostro burocratico, costantemente vorace.
C’è un ulteriore particolare che colpisce. Che si parli di mattoni, di mobili o di dispositivi ultratecnologici per recuperare i satelliti danneggiati, lo stesso concetto viene espresso dagli imprenditori: meno carte, più controlli.
Nessuno chiede l’azzeramento delle norme, un paradiso terrestre dove ciascuno possa fare ciò che vuole. Lo sfoltimento sì, come l’eliminazione di quelle obsolete o contro il ben dell’intelletto. La burocrazia, con i suoi casi eclatanti e la sua presenza strisciante quotidiana, sta frenando un’economia e sta danneggiando tutti. Assurdo che una start up debba veder comparire il disco rosso a un finanziamento necessario per dare posti di lavoro e combustibile al motore economico.
Di più, tutti si dichiarano concordi nell’implorare: controllateci persino di più poi, ma intanto lasciateci lavorare. Se sgarriamo, puniteci. Nel frattempo, però, non condannateci a questa morte civile che è il poter volare e il trovarsi inchiodati a terra.
Troppo tempo, troppi soldi stanno sfumando in questa strada dissennata che il Governo ha annunciato a più riprese di voler sistemare: gli scossoni sono tuttavia ancora evidenti.
Una zavorra, la definisce l’industriale Maurizio Traglio, che a sua volta svela un piccolo episodio È proprio il piccolo che spaventa, più del grande. Significa che a ogni azione corrisponde una reazione uguale (anzi ben più massiccia) e contraria della burocrazia.
Significa che siamo circondati. Ma vuol dire anche che dobbiamo spezzare questo cerchio, adesso o mai più.
Un comasco di successo, emigrato a Berlino (e dalla capitale applaudito, tanto che è stato invitato a Expo a raccontarsi) ha raccontato come là tanti nostri giovani stiano iniziando una nuova vita. E nelle difficoltà prevalga una parola magica: è “buon senso”.
Dobbiamo ritrovarlo, in questo Paese. Come dobbiamo mantenere, anzi scatenare la capacità di ribellarci quando qualcuno lo soffoca.
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