Enrico Letta affronta le forche caudine del dibattito sulla legge di stabilità con una maggioranza che è un eufemismo definire rissosa. Il suo primo obiettivo sembra quello di tornare dal Consiglio europeo con qualche risultato che lo aiuti a calmare le acque: per esempio ottenere quella svolta nella politica del rigore che potrebbe rendere più accettabili certi sacrifici. Ma sembra difficile che ciò possa accadere.
Ciò spiega perché i partiti che lo sostengono per il momento perseguano ciascuno un proprio disegno, dal ’’grande centrodestra’’ di Alfano, al Ppe italiano di Mauro e Casini fino alla vocazione maggioritaria del Pd di Matteo Renzi. Un confuso mosaico che non aiuta il premier e, soprattutto, alimenta ancora l’incognita di una crisi ad orologeria che porterebbe fatalmente il Paese alle urne in primavera. Ma esiste davvero un calcolo di questo tipo, a destra e a sinistra, quando la crisi economica è tutt’altro che superata?
Il Quirinale sembra sospettare di sì: questo è il motivo per cui Giorgio Napolitano ha ancora una volta aperto il suo ombrello protettivo sul “governo del Presidente” liquidando - in una nota di insolita asprezza all’indirizzo del Fatto quotidiano - come «ridicole panzane» le ricostruzioni di un patto segreto del Colle con Silvio Berlusconi.
Patto che, secondo il Fatto, avrebbe previsto la grazia motu proprio per il Cavaliere dopo la condanna Mediaset. Si tratta infatti di sgombrare il campo da un’ombra che rischia di avvelenare i rapporti all’interno della maggioranza: l’esistenza di una strategia tesa a piegare ogni accordo politico, anche la manovra economica, ad un salvacondotto per il Cavaliere, sotto qualsiasi forma.
In questa ottica, a cui anche Mario Monti ha dato l’impressione di credere, le critiche dei falchi berlusconiani alla legge di stabilità sarebbero motivate dall’allontanarsi di tale prospettiva.
In realtà la ricostruzione è un po’ fragile e lo dimostra tra l’altro l’ennesimo scontro consumatosi tra Pd e Pdl in commissione Antimafia: l’elezione di Rosy Bindi alla presidenza, non concordata con gli alleati, che apre la strada ad una specie di Aventino del Pdl in una delle bicamerali più delicate, e crea un nuovo grattacapo allo stesso Letta impegnato a mediare tra le molte anime della sua maggioranza. E’ chiaro che incidenti di questo tipo rendono più difficile anche il compito di Angelino Alfano. L’unica vera carta nelle sue mani è l’interesse di Berlusconi a tenere unito il partito in vista del voto sulla decadenza.
Su questo terreno è in atto un vero surplace: come ha fatto sapere Pierferdinando Casini, una parte dei centristi (e naturalmente anche i berlusconiani) vorrebbe che il Senato non si esprimesse prima della sentenza definitiva di interdizione dai pubblici uffici da parte della Cassazione (dovrebbe essere di due anni, molti di meno dei sei anni previsti dalla legge Severino).
Il sottinteso è chiaro: questa sentenza verrebbe dalla magistratura, dunque non sarebbe la politica, e in particolare il Pd, ad “espellere” per prima Berlusconi dal Parlamento. La resistenza del Cavaliere potrebbe partire da qui, lasciando però intatto il governo e soprattutto i moderati liberi di lavorare ad una sorta di federazione del Ppe italiano.
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