Ci voleva Cantone per tirare fuori il sindaco Lucini e il Comune di Como dal... cantone, quell’angolo acutissimo del cantiere Leopardesco inteso come infinito più che di pessimismo) sul lungolago.
Non che le parole dello sceriffo anticorruzione passano far ripartire i lavori dall’oggi al domani, ma perlomeno dovrebbero risparmiare alla città e all’amministrazione un nuovo calvario che avrebbe procrastinato il termine dei lavori a quelle Calende poco popolari di questi tempi: le greche.
Del resto Lucini, al contrario del suo predecessore, è riuscito comunque a raccogliere attorno alla volontà di venirne a una sul malefico progetto, un consenso cittadino, anche e soprattutto al di fuori dalla sfera politica, abbastanza diffuso. Non sembra essere accaduta la stessa cosa però su altre scelte-non scelte dell’attuale governo lariano che, a livello politico al di là dell’emergenza lungolago, presenta un quadro alquanto frastagliato.
L’impressione, per usare una metafora in voga qualche decennio fa, è che l’amministrazione abbia una visione tattica ma non strategica degli obiettivi da perseguire. E, anche, che su alcune questioni non abbia mostrato un forte segnale di discontinuità rispetto al passato.
Il nodo è politico ma non solo, quando si tratta di accompagnare l’inevitabile evoluzione di una città post industriale che ha virato con decisione sul terziario e in particolare sul turismo. La vicenda del no ai privati per la realizzazione di un autosilo interrato alle porte della Città Murata è emblematica e tuttora difficile da interpretare: forse quando saranno rese note le motivazioni sarà tutto più chiaro. Anche se, nello stesso tempo, sarebbe utile poter capire se esiste un piano B in tema di politica dei parcheggi al servizio del turismo.
A meno di due anni dalla scadenza del mandato e con il centrodestra locale che pur senza calare assi (arriveranno) in termini di personalità, viaggia verso una riaggregazione, Lucini e il centrosinistra farebbero bene a uscire anche da quest’angolo se intendono perpetuare la loro esperienza alla guida della città.
Certo, aiuterebbe l’azione un partito di maggioranza relativa più applicato sul pezzo e coeso, un aggettivo che fa a pugni con il Pd che, peraltro, a livello comasco non rispecchia neppure la contrapposizione nazionale fra renziani e non. Il sindaco Lucini, del resto, non è certo un seguace del suo ex omologo fiorentino. Dopo il riassetto ai vertici locali, atteso per l’autunno anche sulla scia renziana di radicare il partito nei livelli periferici, sarebbe opportuno mostrare qualche segnale di quel cambio di passo che per alcuni aspetti (non per tutti bisogna essere onesti e obiettivi) è rimasto solo uno slogan elettorale.
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