Chi ha paura in Comune a Como di quattro bambini morti? Sono Siff, di 11 anni, con le sue sorelline Sophia di 7, Soraya di 5 e Saphiria, 3 anni. Uccisi nel rogo della casa dove vivevano con il papà Faycal Haitot, morto pure lui tra le fiamme e la disperazione.
Circondata da un alone di soffusa amarezza, la domanda sorge istintiva davanti al silenzio che è calato nei saloni di Palazzo Cernezzi sull’attesa decisione del sindaco di proclamare il lutto cittadino. Tre, due, un giorno solo?Magari nell’ora dei funerali quando si farà il segno della croce e gli occhi si inumidiranno di fronte alle quattro bare bianche? Non si sa. Non è stato deciso nulla.
La madre, unica superstite di questa sfortunata famiglia, è ricoverata per depressione. Toccherà dunque allo stesso Comune far celebrare i funerali. Logica, ragionevolezza, buon senso, sentimento umano, anelito di solidarietà, tutto vorrebbe che Como vivesse un raccoglimento collettivo come comunità. Appunto, il lutto cittadino. Massima espressione civica di cordoglio. Tempo laico dove la frenetica vita quotidiana di una città si interrompe per fare spazio alle domande e alle riflessioni e soprattutto per onorare i morti e tributare un omaggio laico alla loro memoria.
La tragedia di via per San Fermo con la straziante fine di quattro vite innocenti, e del loro padre, ha davvero scosso Como. Fin dalle prime ore le voci più autorevoli lo hanno sottolineato. Il vescovo Cantoni ha scritto: «È una tragedia che ci unisce nel dolore, come comunità umana». Il sindaco Landriscina dopo la visita alla povera mamma ha affermato: «Siamo stati in ospedale in nome della città. L’intera città è colpita e distrutta da questa notizia».
La diretta, naturale conseguenza sarebbe stata l’immediata proclamazione del lutto cittadino, magari da osservare per i funerali. Da venerdì a ieri sono trascorsi quattro giorni e il Comune, anzi, il sindaco non ha ancora fatto sapere niente. Questo silenzio è rombante. Che cosa ha impedito finora al primo cittadino di annunciarlo? Le difficoltà burocratiche di scrivere un’ordinanza di poche righe? La disattenzione o l’assenza di qualche funzionario? L’allergia politica di qualche alleato perché si tratta di quattro bambini nati a Como sì, cristiani anche, ma pur sempre stranieri? Ci rifiutiamo di crederlo. Mario Landriscina prima che sindaco è medico. E ha dedicato la sua vita a soccorrere gli altri, facendo dell’aiuto al prossimo la sua missione e professione.
Allora che cosa gli impedisce di proclamare il lutto cittadino? Il silenzio del Comune nuoce alle sue eventuali buone intenzioni e dà adito a pensieri che non si possono nemmeno pensare.
La nostra città non può avere paura di quattro bambini consegnati all’eternità per mano di uno sciagurato padre a cui, forse, non abbiamo dato il giusto ascolto nei giorni della sua disperazione.
Sgombriamo ogni dubbio, facciamo chiarezza una volta per tutte. Non ci vuole molto. Basta una firma. Mario, sindaco medico, non lasciare che il nome di Como circoli per l’Italia e per il mondo come la città che non sa trovare un tempo civico da dedicare a quattro bambini morti. Non è questione di Ius Soli o di cittadinanza postuma o di speculazioni politiche. È solo umanità. Il resto è disumano.
Se, come dicevano i rabbini, chi salva una vita salva il mondo intero, Como può rammaricarsi e soffrire per non aver saputo e potuto custodire quei quattro piccoli nati qui e vissuti tra di noi senza alcuna colpa. Lo scriveva anche il loro disperato padre riferendosi ai problemi con gli assistenti sociali: «Sono problemi tra me e loro, cosa centrano i bambini?». E aggiungeva: «Voglio capire se viviamo a Como, Lombardia, Italia, o nel paese delle scimmie».
Caro sindaco almeno da morto diamogli la risposta giusta. Siamo a Como, una città illustre, ricca e bellissima. Una città che può avere anche gravi mancanze e sbagliare. Ma è una città - sindaco non smentirci - che non ha ancora smarrito il senso dell’umano, il sentimento della pietà.
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