Como, basta con questa
cultura del deficit

Nessun pasto è gratis. Anche se lo sembra. C’è sempre qualcuno che paga. Vale anche per la cultura, vale anche per i musei di Como.

Il successo della prima domenica del mese con entrata gratis - Como ha aderito solo all’ultimo mentre in altre città è ormai una tradizione - ha portato alla luce una situazione inaccettabile. La cultura non può essere misurata con un metro utilitaristico come si fa con le aziende. Ma a guardare i conti dei musei comaschi non si può non chiedere che si dica basta alla cultura del deficit perché alla fine sparisce la cultura e rimane solo il deficit.

Come giustificare altrimenti che nella Pinacoteca di Como nel febbraio 2014 in 4 domeniche siano entrate solo 3 persone paganti? Uno scandalo? Una situazione fallimentare. Qualcuno dovrebbe accorgersene e intervenire.

Le proporzioni non cambiano se ci si sposta ai Musei civici dove nelle quattro domeniche del febbraio scorso ci furono solo 14 visitatori.

Va decisamente meglio per il Tempio Voltiano (l’anno scorso 140 persone) che però è favorito anche da una posizione turisticamente unica. E anche da un altro fattore non indifferente: era aperto pure al pomeriggio mentre Pinacoteca e Musei erano all’insegna del “cogli l’attimo” dalle 10 alle 13, solo tre ore per il pubblico.

Allora il boom di visitatori di ieri - 140 ai Musei, 54 in Pinacoteca, 374 al Tempio Voltiano - non si può certo spiegare soltanto con il fatto che si entrava gratis. I comaschi e i turisti non sono così tirchi da meritare questa spiegazione.

Bisognerebbe chiedersi quali iniziative siano state lanciate in questi ultimi anni per promuovere il patrimonio artistico, storico, archeologico e culturale che è conservato nei musei di Como. Un tesoro che andrebbe valorizzato facendolo conoscere ai comaschi prima di tutto e poi anche ai sempre più numerosi turisti che arrivano in città e sul lago.

La gestione tenuta finora in questo settore, purtroppo, sembra giustificare lo slogan dell’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti: «Con la cultura non si mangia». Falso. In tantissimi Paesi stranieri e in molte città italiane si è dimostrato che la cultura è un motore dello sviluppo e dell’economia. Anche a Como c’erano realtà culturali arretrate o ferme, comunque distaccate dalla città e della società locale. Basta pensare al Teatro Sociale e all’Accademia Galli. Il primo è stato rivoltato come un guanto da Barbara Minghetti che lo ha fatto diventare un punto di riferimento centrale della cultura comasca e con prestigiosi riconoscimenti internazionali. La seconda era una scuola morente che ha trovato in Salvatore Amura un presidente capace di rilanciarla fino a trasformarla nel centro di aggregazione di giovani, di docenti, di istituzioni e di aziende, una rete di successo.

Altre realtà potrebbero essere prese come esempi di rinascita culturale e di business economico.

Quello che è inaccettabile è che il Comune di Como in un anno spenda oltre un milione di euro per i musei e incassi appena 73 mila euro. La copertura dei costi è solo del 6,16%. Pensate che in altri settori sensibili socialmente i conti sono ben diversi: le rette degli asili nido coprono il 42% della spesa, la refezione scolastica il 79%, gli impianti sportivi il 22% e i servizi cimiteriali il 67%.

Forse troppo a lungo ci si è compiaciuti dei grandi numeri delle grandi mostre mentre i musei rimanevano desolatamente deserti producendo deficit finanziari che poi hanno pagato tutti i cittadini comaschi. È troppo chiedere di cambiare sistema?

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