Il compianto Massimo Troisi, nel film che ne rivelò il talento comico al grande pubblico – “Ricomincio da tre” –, sosteneva che non voleva ripartire da zero perché tre cose buone nella vita le aveva fatte. La giunta comunale di Como che deve ancora spiccare il volo per uscire dal quell’idea di tinello gozzaniano di nonna Speranza, tutto tendine, asfalti, controbuffet, pattine, tombini da rimettere in asse, vermouth, aiuole da innaffiare e lampioni fulminati, potrebbe cominciare da tre. Tre aree strategiche dove passa il futuro della città. E il verbo non è casuale perché l’avvenire ci mette poco a diventare passato: il tempo non aspetta nessuno. I tre personaggi in cerca di autore sono l’ex Sant’Anna, il San Martino e la Ticosa: protagonisti di una storia finora senza lieto fine. Perché allora non provare a riscrivere il copione e unire i loro destini? Decidere cioè in maniera simultanea quali funzioni destinare nell’una e nell’altra con tutti i ragionamenti urbanistici e non che ne conseguono. Forse è più facile sbrogliare tre matasse usando un bandolo solo. Due di queste tre porzioni di città che fanno quasi un’altra città sono contigue: l’area dove sorgevano il principale ospedale e la prima industria di Como. Ragionare in simultanea su entrambe sarebbe auspicabile, anche perché, la farina è del sacco di un valente architetto e urbanista comasco, “chi compra casa vuole sapere cosa costruiranno vicino”. La terza, l’immenso polmone verde urbano, deve essere resa fruibile ai cittadini. Pensare al domani significa mettere mano a questi pezzi sotto utilizzati del tessuto comasco con quello che, a seconda delle scelte, ne conseguirebbe per il resto della città. Riflettere, ragionare con tutta la calma e l’ascolto indispensabile ma senza tirare le Calende greche. Altrimenti il futuro diventa passato. A ricordarcelo c’è l’asse San Rocco-San Rocchetto. Se ne parla proprio dai tempi della chiusura delle attività produttive della Ticosa, anni ’80 che fece emergere la necessità di riqualificare quella porzione urbana, il famoso “cannocchiale”. È finita che, a furia di rinviare la pratica, i vuoti lasciati sono stati quasi tutti riempiti dai privati in maniera alquanto caotica. E nel cannocchiale si vede solo un vuoto di programmazione della città. Un memento che deve far pensare anche alle tre aree da restituire alla città con nuove funzioni proiettate sul futuro, come potrebbe essere, nel caso della Ticosa, la proposta, da riprendere di Officina Como per un “Hub della creatività” rivolto ai giovani. Da qui potrebbe anche discendere il resto, il destino dell’ex Sant’Anna e anche del San Martino. In soldoni, l’innovazione nell’ex tinto stamperia, funzioni di servizio pubbliche o private lì dove da anni si vagheggia invano di cittadella sanitaria e spazi ricreativi, culturali e sportivi in quello che potrebbe diventare il “Central park” di noi altri. Certo, le matasse di cui sopra, va detto, sono ingarbugliatissime. E non si sa se l’attuale momento storico del Comune di Como, specie sul versante dei personale, sia proprio il migliore. Ma se questa amministrazione vuole lasciare un segno che non sia solo quello tracciato dal bitume che copre le buche nelle strade in favore dei ciclisti del Giro d’Italia, avrebbe il dovere di tentare.
E poi una sfida bella e impossibile come questa sarebbe una chiamata alle armi per tutti. Anche per coloro che, durante la lettura di questi spropositi già arricciano un sopracciglio e armano i distinguo. Chiaro che, essendo tutti uomini di mondo che hanno fatto il militare a Cuneo, non pensiamo di lasciar fuori i legittimi interessi che possono essere mossi da una simile utopia. Basta tirar fuor la… p. Già, al singolare, la Politica, e questa volta davvero con la maiuscola che deve essere capace di mediare, indirizzare e fare la sintesi. E non è detto che si tratti solo della politica, stavolta minuscola, racchiusa nel vetusto palazzo che si affaccia su via Vittorio Emanuele. Sarebbe anche il caso di ricordare che quasi tutte le poche cose venute bene e, soprattutto, arrivate in fondo a Como sono state fatte con il contributo costruttivo delle opposizioni senza scadere nelle pratiche del consociativismo. Era lì che si chiamava in causa la P… con la maiuscola. Oggi sembra più tosto, ma nella minoranza di palazzo Cernezzi ci sono teste che sanno pensare al bene e al futuro della città. Il tutto, naturalmente, se si vuole tentare un volo che vada oltre quello del tacchino, senza dimenticare che prima o poi il Natale arriva.
@angelini_f
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