«La radiale è l'arteria che fornisce l'irrorazione sanguigna all'avambraccio e alla mano ed è generalmente utilizzata per valutare il battito cardiaco - spiega Orazio Valsecchi, direttore della Cardiologia 2, la Diagnostica interventista degli Ospedali Riuniti di Bergamo, afferente al Dipartimento cardiovascolare diretto da Paolo Ferrazzi -. Dagli Anni '90 si è aggiunta all'elenco dei possibili punti di accesso a disposizione dei cardiologi, grazie a una serie di caratteristiche che la rendono valida quanto gli altri accessi arteriosi, ma con vantaggi decisamente superiori sia per il medico che per il paziente. Partendo dall'arteria del polso anziché dall'arteria femorale, siamo in grado di effettuare sia indagini diagnostiche per visualizzare direttamente lo stato di salute delle coronarie (coronarografia), sia interventi necessari a dilatare una stenosi dei vasi sanguigni (angioplastica)».
È visibilmente soddisfatto Orazio Valsecchi, che tra i primi eseguì questa procedura in Italia su pazienti non selezionati, convinto che ciascun paziente con una buona pulsatilità arteriosa radiale e un adeguato flusso collaterale dell'arteria ulnare sia potenzialmente un buon candidato per l'approccio radiale. La caparbietà e la dedizione della sua equipe, di cui fanno parte Giulio Guagliumi, Giuseppe Musumeci, Luigi Fiocca e Angelina Vassileva, gli hanno dato ragione. «Grazie al miglioramento dei materiali a disposizione e ad uno studio approfondito dell'anatomia dell'arteria radiale, peculiare in ogni paziente - dice -, abbiamo dimostrato che l'approccio radiale può essere utilizzato non solo in pazienti stabili e con lesioni semplici da trattare, ma anche in pazienti instabili, cioè in condizioni critiche e con lesioni coronariche complesse».
A prospettare la possibilità di eseguire procedure urgenti mediante l'approccio radiale è stato proprio il lavoro di Valsecchi e del suo gruppo, che hanno effettuato l'angioplastica coronarica per via radiale in pazienti con infarto miocardico acuto, nonostante lo scetticismo di molti colleghi. «Dal '99 ad oggi abbiamo eseguito quasi 8000 procedure con accesso radiale, di queste, 800 sono state effettuate in pazienti con infarto miocardico acuto - commenta orgoglioso Valsecchi -. Siamo il primo centro in Italia per questo tipo di procedura, nel nostro ospedale viene utilizzata in oltre il 90% dei casi di malattia coronarica e ormai si è sostituita all'accesso femorale, con grande soddisfazione dei medici e dei pazienti, per i quali molte paure sono scomparse grazie ai risultati ottenuti».
Le malattie coronariche colpiscono in ugual misura sia gli uomini che le donne, sebbene sia in aumento l'incidenza tra le donne in menopausa e fumatrici. Le coronaropatie sono associate a numerosi fattori di rischio (familiarità, fumo, obesità) che innescano la formazione di placche aterosclerotiche sulle pareti interne dei vasi, che si restringono ostacolando il regolare flusso di sangue e l'apporto di ossigeno. L'occlusione totale delle arterie coronarie può provocare l'infarto miocardico. Di qui l'importanza di un'adeguata valutazione diagnostica nei soggetti a rischio attraverso la coronarografia. Questa tecnica, eseguita in anestesia locale, prevede l'inserimento di un catetere sottilissimo nell'arteria radiale all'altezza del polso, in genere destro; il tubicino continua il suo viaggio fino ad essere posizionato all'origine delle arterie coronarie, quando viene iniettato un liquido di contrasto per visualizzare la presenza di eventuali restringimenti od occlusioni.
A seconda della situazione, il cardiologo può decidere di procedere con un intervento di angioplastica per inserire uno stent (una piccola rete metallica espandibile di forma tubolare, capace di sostenere la parete interna dell'arteria e di mantenerla aperta in modo permanente). «I vantaggi correlati all'esecuzione di procedure coronariche invasive con approccio radiale ne superano di gran lunga i limiti - osserva Valsecchi -. L'accesso radiale riduce le complicanze vascolari (emorragie, ematomi, pseudoaneurismi, fistole) che possono invece manifestarsi con un'incidenza non trascurabile quando si utilizza l'arteria femorale come via d'accesso, inoltre la procedura eseguita per via radiale consente una mobilizzazione più rapida per il paziente, con risvolti psicologici importanti, riducendo anche i carichi di lavoro del personale infermieristico e accorciando i tempi del ricovero ospedaliero».
In Italia l'accesso radiale è ancora confinato al 25% delle procedure di cateterismo cardiaco. «A scoraggiarne l'utilizzo sono alcune difficoltà in più rispetto a quello femorale: - conclude Valsecchi - l'arteria è più piccola, la strada per arrivare alle coronarie e al cuore più tortuosa, le manovre più complesse. Tuttavia, i vantaggi sono così soddisfacenti che vale la pena trasformarsi da artigiani della femorale in artisti della radiale».
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