Ad essere nei panni di Matteo Renzi, fra oggi e domani, non ci sarebbe da essere troppo sereni. Colpa della Grecia. Il premier e il suo ministro dell’Economia manifestano sicurezza e il primo anche ieri ha sparso ottimismo: «Gli italiani non devono aver paura, non siamo più il malato d’Europa». Vero, eppure ci sono motivi fondati e cifre per non stare del tutto tranquilli. Il peggio è che questo stato non dipende molto dall’esito del referendum ellenico: Renzi, allineato con i duri del Nord Europa, deve confidare in una vittoria del sì anche se, a dispetto delle prime manifestazioni d’amicizia con Tsipras (cravatta compresa) continua a ribattere il mantra che la vera questione è lavorare sulla crescita. Ma sia che prevalga il no oppure il sì, l’orizzonte da Roma è piuttosto scuro.
Intanto l’impatto sui conti: l’Italia rischia una parte dei suoi 40-60 miliardi prestati o garantiti ad Atene. Il problema nasce dai possibili 11 miliardi di esborso che, secondo Standard & Poor’s, potrebbe costare la Grexit al nostro Paese. Troppi, dice il Tesoro, ma anche se fossero la metà il prezzo sarebbe pesante da pagare. Ma anche senza la Grexit e con una vittoria del sì, il negoziato con Atene prevederà un’ulteriore tranche di aiuti, un terzo intervento dopo i due precedenti da 230 miliardi. Il Fmi internazionale stima siano necessari almeno altri 50 miliardi per arrivare ai quali sarà necessario un nuovo intervento dei Paesi europei, Italia compresa dunque.
Poi vi sono i riflessi “psicologici”. Comunque, con un sì o un no vincenti, il paradigma dell’intangibilità della zona euro e della crisi sistemica – stile Argentina, per capirci - al suo interno è compromesso. E questo può aiutare la speculazione verso i Paesi più deboli anche perché, in caso di ristrutturazione del debito greco, i mercati sarebbero indotti a giocare sui Paesi più deboli, Spagna e Italia soprattutto. Un evento previsto dalla liberal Mariana Mazzucato e non escluso da un economista non di sinistra come Luigi Zingales secondo il quale a proteggerci è per ora il quantitative easing della Bce, «che però non durerà all’infinito» ha spiegato. Se è vero come è vero quanto ricorda Mazzucato che la competitività italiana è a livello di quella greca (anzi spesso al di sotto) e che il livello d’investimenti è deficitario, con il mercato del lavoro ancora fermo e la crescita già frena, la prospettiva di un assalto all’Italia non è peregrina. E sarà complicato farvi fronte con i prezzi dell’energia in risalita a fine anno, lo spread più alto (e quindi minori risparmi sugli interessi), il Pil lontano dai livelli di una crescita vera (almeno 2%), con la spending che non incide abbastanza, il piano Juncker per la crescita che si è finora rivelato un bluff, con il “tesoretto” evaporato e la clausola di salvaguardia da 10 miliardi incombe.
Renzi di fronte a questi “fantasmi” devia su una nuova politica europea, necessaria ma di là da venire in tempi stretti . Però farebbe bene a dare un’occhiata alle classifiche del World economic forum nei cui 12 rank su lavoro, imprese e tasse il nostro Paese è addirittura dietro Atene. Senza svolte reali e incisive l’Italexit potrebbe non essere distante. Con o senza Grecia nell’euro.
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