Alla fine c’è sempre un giudice a Berlino. Anche in tempi in cui la Germania arriva al punto di affermare (salvo poi smentire, ma non del tutto) che la Grecia può benissimo uscire dall’euro senza per questo squilibrare il Vecchio Continente. A indossare virtualmente la toga stavolta sono stati i mercati che alla Merkel e soprattutto ai suoi “falchi” hanno ricordato che la lunga crisi innescata dal 2008 ora tocca anche la (ex?) locomotiva d’Europa. Così ieri lo spettro della deflazione si è in pratica trasformato in una quasi certezza anche per Berlino: e questo, unito al tracollo del prezzo del petrolio – sotto i 50 dollari al barile, ai livelli del 2009 -, alle incertezze sul quantitative easing, alla crisi greca con il timore Syriza, alla crescita che non arriva e perfino ai dubbi sulle effettive riforme in Paesi periferici come l’Italia, ha fatto sì che ieri le borse europee siano precipitate con Milano che ha fatto segnare un meno 4,9%, appena sotto Atene.
Troppi se, troppi dubbi, prospettive a breve ancora oscure, i mercati sembrano entrati in una nuova era, battezzata del self delusional, ovvero veleggiano verso l’autoinganno. La Bce appare ancora lenta, in difficoltà a muoversi verso quell’acquisto di titoli di Stato al punto che, secondo Nomisma, il quantitative easing più volte paventato da Draghi , potrebbe non bastare dare una spinta decisa alla crescita attesa da anni. Ecco quindi il nervosismo dei mercati anche perché Berlino, l’unica a poter agire rispettando il Fiscal Compact, se resta prigioniera della sua politica di austerità non darà segni concreti verso politiche espansive. Le elezioni greche del 25 gennaio non aiutano, seppure Tsipras ha evidenziato di non voler un’uscita dall’euro quanto piuttosto a voler ridiscutere con Bruxelles i termini di pagamento degli interessi, trasformare il debito verso la Troika in un maxibond a scadenza illimitata e rientrare nelle misure Bce per favorire l’espansione.E’ chiaro a questo punto che se neppure Draghi può rendere concreto uno scenario “americano” e con la Germania in deflazione, per l’Europa si avvicina un altro tunnel che sarebbe demagogico e deviante attribuire al solo voto greco. Il problema, evidentemente, sta altrove e forse la lenta scivolata di Berlino verso la deflazione potrebbe rivelarsi un bene se servisse a convincere i suoi “falchi” che è ora di cambiare registro. Come trovare un accordo su un alleggerimento del debito, in un quadro di stabilità finanziaria della Ue, in cambio di riforme rigorose e innovative e con un coordinamento tra politiche fiscali e monetarie continentali. Una via che la prestigiosa economista nonchè ex direttore ricerca nel board Bce Lucrezia Reichlin ha suggerito ieri, sostenendo che occorre gettare le basi per un nuovo contratto tra debitori e creditori, anche perché, ha detto, «se le crisi del debito sono il risultato del comportamento volontario di due parti (debitori e creditori), la loro soluzione non è la punizione di una sola, ovvero del debitore».
Una strada, del resto, già scelta in passato e - guarda caso - a vantaggio di Berlino. Oggi potrebbe disinnescare la mina Tsipras, dare una mano ai Paesi salvati o ancora in pericolo (come l’Italia e la Spagna), consentire di affrontare meglio le crisi politiche innescate dal crollo del petrolio. E magari evitare entrare di nuovo tutti insieme dentro il tunnel.
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