Musica / Como città
Lunedì 15 Giugno 2009
Eric Clapton & Steve Winwood
due chitarristi che fanno scintille
E' uscito lo strepitoso “Live from Madison Square Garden”
Meglio le altre incursioni nella musica del diavolo, il “Riding with the king” condiviso con il maestro vivente, B.B. King, oppure il doppio tributo al suo più grande amore, Robert Johnson. E dopo avere reso immensamente popolari canzoni come “Cocaine” e “After midnight” c’è stata anche l’occasione per duettare con J.J. Cale. Non tutte queste ciambelline hanno buchi perfetti ma sono sempre più deliziose di album insipidi come “Pilgrim”, “Reptile” e “Back home”. Molto intrigante l’ultima della serie che riallaccia i fili di un discorso interrottosi troppo presto e che vede Slowhand dividere il palco con un altro grande della scena inglese degli anni Sessanta, Steve Winwood per un “Live from Madison Square Garden” che fa, letteralmente, scintille. Prima un po’ di storia. Clapton si era distinto negli Yardbirds, quintetto dedito a un blues energico, sulla scia dei Rolling Stones ma, come i Rolling Stones, intenzionati a percorrere anche altre strade. Eric li abbandonò per i Bluesbreakers di Mayall e poi per i Cream, tradendo la sua fedeltà alla causa blues per la prima di un’innumerevole serie di volte. Il piccolo Stevie era un enfant prodige: a soli sedici anni cavalcava le classifiche cantando “Gimme some lovin’”, “Keep on running” e “I’m a man” con lo Spencer Davis Group che, a dispetto del nome, era molto più cosa sua. Ma non abbastanza e quindi fondò i Traffic, ricordati ancora oggi come una formazione terribilmente innovativa.
Ma in mezzo ci fu un progetto durato lo spazio di un mattino e chiamato Powerhouse, veri precursori di tutti i supergruppi successivi, con Clapton e Winwood come punte di diamante. Insoddisfatti delle loro esperienze successive i due si ritrovarono giusto 40 anni fa, 1969, nei Blind Faith. In realtà furono solo i discografici a dare “cieca fiducia” a un quartetto completato anche da Baker, ereditato dai Cream, e Ric Grech dei Family. L’unico album realizzato venne, innanzitutto, penalizzato dalla censura (c’era un’adolescente senza veli in copertina, che scandalizzerebbe ancora di più oggi) e poi dalle eccessive attese del pubblico e dei critici così tutto finì in fretta e ognuno per la sua strada. All’epoca si lodava solo la solenne “Presence of the lord” mentre è stata “Can’t find my way home” a trovare maggior successo successivo. Tanti anni dopo i due sono semplicemente contenti di suonare ancora assieme. Tra i recuperi di quel progetto, oltre ai due brani già ricordati, anche “Had to cry today”, l’omaggio a Buddy Holly di “Well, alright” e una “Sleeping in the ground” spuntata fuori solo successivamente. Poi brani apprezzati da chi ha seguito le carriere di entrambi fin dall’inizio.
Spiccano classici come “Glad” e “Dear mr. Fantasy” che è sempre un piacere ascoltare, omaggi a Hendrix e Buddy Miles (“Little wing", “Voodoo chile” - Winwood suonò l’organo nell’originale - e “Them changes”), Clapton saluta Johnson (“Ramblin’on my mind”), Winwood ricorda l’idolo di gioventù Ray Charles (“Georgia on my mind”). Non suona bolso ma, anzi, molto scorrevole e divertente.
Alessio Brunialti
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