Fatturati ed empatia, chief executive e falegnami: il tradizionale confronto offerto dal Forum del legno a Milano non fornisce solo un’occasione di riflessione a metà di un anno dal doppio volto. Già, un 2016 che per il settore dell’arredo è iniziato in modo meno brillante di quello lasciato alle spalle, ma che ha vissuto un Salone del Mobile capace di infondere nuova fiducia con il boom di visitatori.
Sul palco dell’evento di ieri però ha attirato l’attenzione un’insolita armonia: si sono incontrati uomini e ambienti diversi, con le loro esperienze e i loro linguaggi, in cerca di soluzioni comuni che possano sospingere con maggiore efficacia il made in Italy in tutto il pianeta.
Si è visto un Oscar Farinetti inchinarsi agli imprenditori dell’arredo e confidare che sì, lui ha guardato a ciò che sanno fare loro per riuscire nell’avventura di Eataly. O finanza e aziende parlarsi con sempre meno pregiudizi: perché in entrambi i casi esistono realtà buone, accanto ad altre meno virtuose. E quando si incontrano, sanno rafforzare la missione della crescita, non formare (e far esplodere) le bolle che altrove ci hanno rovinato.
Lo racconta anche il linguaggio, appunto. Certo, ciò su cui si concentrano gli sguardi e l’ascolto è la raffica di stime per il futuro, il peso delle esportazioni, le prospettive che ogni mercato può tracciare. Ma c’è qualcosa che rimane oltre le slide, e sono le emozioni. Quelle che suscitano le creazioni delle imprese, se le sanno non solo realizzare, bensì anche raccontare.
Quelle che riescono ad arrivare a tutti e a smorzare le distanze, in un universo dove le distanze non dovrebbero contare.
Un assaggio si è avuto ieri in un momento clou del dibattito. Quando Giovanni Anzani della Poliform, che da sempre si presenta con un “Piacere, sono un falegname” nonostante le dimensioni della sua azienda, si è confrontato con il re degli investitori, Andrea Bonomi. Complice un terzo, per niente incomodo, Daniele Lago, accento e mentalità veneti: « Non ci aspettiamo niente, noi, siamo abituati a tirarci su le maniche e a pensare le cose belle, anzi la cosa straordinaria è che le facciamo».
Ci si attenderebbe da questo giovane imprenditore – presentato come “chief executive officer and head of design” dell’azienda - l’entusiasmo per il digitale, difatti puntuale arriva, ma più cara gli è la parola empatia. Quella che per un grande innamorato della bellezza e del lago di Como, Elio Fiorucci è l’unica risorsa per salvare il mondo. E sì, confida, gli piace avere la seconda community su Facebook dopo Ikea, e ancor di più il balzo in avanti del fatturato, ma il primo patrimonio è quello umano. Territorio su cui si incontrano anche Anzani e Bonomi, il falegname e l’investitore.
Roba da spazzare via tutto ciò che scorreva implacabile nelle sequenze de “Il capitale umano” . Film che non ci ha raccontato fandonie: c’è anche quello, e ha provocato, provoca mali terribili nell’economia e nella società.
Ma esiste anche il Paese della grande bellezza - senza ironie o autoflagellazioni - che si sa vedere come tale, che deve smettere un po’ di bisticciare e che ha il diritto di vedere al suo fianco una politica più accorta.
Che deve saper parlare inglese, senza vergognarsi di masticare brianzolo. O che più di tutto deve imparare a raccontarsi, prima di tutto a se stesso. Sempre meglio che litigare. E lasciarsi superare dagli altri che quella bellezza, non possono vederla neanche con il binocolo.
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