Ghiacciaio Forni, fusione record
Ogni giorno persi 9 centimetri

Lo studio Calo del 15% superiore rispetto a quello registrato in media negli anni passati. Smiraglia: «Speravamo in un anno diverso dal 2022, ma la situazione è solo peggiorata»

Con una fusione del 15% superiore rispetto a quella registrata in media negli anni precedenti, questa volta il ghiacciaio dei Forni ha battuto ogni record.

Ed è triste affermarlo, ma è andata proprio così: nel pieno dell’ondata di calore della seconda metà di agosto, quando lo zero termico superava tranquillamente i cinquemila metri, il secondo gigante bianco per estensione in Italia ha perso addirittura 9 centimetri di spessore al giorno.

La situazione in Valfurva

Sono questi i dati – spaventosi – che emergono dal report “Giganti in ritirata: gli effetti della crisi climatica sui ghiacciai italiani” realizzato da Greenpeace Italia e dal Comitato glaciologico italiano (Cgi). Lo studio, frutto di due spedizioni congiunte realizzate in quota tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, prende in esame la situazione dei Forni, in Valfurva, e del Miage, che si trova nel versante italiano del massiccio del Monte Bianco, in Valle d’Aosta.

Il monitoraggio costante

«Il Ghiacciaio dei Forni – si legge nella pubblicazione – viene monitorato da molti anni non solo grazie a misure manuali (variazioni frontali) o al telerilevamento (droni e satelliti), ma anche grazie a due stazioni meteorologiche automatiche installate sulla sua superficie», operative rispettivamente dal 2005 e dal 2014. Tutti strumenti, questi, che non possono far altro che constatare il pesante stato di crisi in cui versa il re indiscusso del Parco nazionale dello Stelvio.

Basti pensare, del resto, che i monitoraggi relativi ai «dati meteo e ai flussi energetici misurati alla superficie del ghiacciaio» hanno consentito di calcolare «una perdita di spessore di più di 20 metri in soli 4 anni dal 2006 al 2009 e di quasi 40 metri considerando anche gli anni fino al 2012».

I calcoli effettuati

Tra luglio e settembre scorsi, ai Forni «sono state localizzate 18 paline ablatometriche per quantificare la fusione alle diverse quote con differente copertura detritica (da nulla a sparsa a abbondante)». E i dati raccolti la dicono lunga. «Le misure effettuate – viene evidenziato ancora nel report di Greenpeace e del Cgi – hanno permesso di evidenziare una fusione media di 6.5cm/giorno dove il ghiaccio era pulito con albedo 0.22 (valore che indica il rapporto tra la radiazione solare incidente e riflessa da una superficie, nda) e di 7.6cm/giorno dove il ghiaccio risultava coperto da detrito fine e sparso con albedo 0.14».

Oltre agli effetti determinati dalla copertura detritica, «è interessante sottolineare che durante il periodo 16 agosto-24 agosto, quando lo zero termico è stato per più giorni sopra i 5000 m slm, sulla maggior parte della catena alpina i tassi di fusione della lingua hanno raggiunto i 9cm/giorno con un incremento del 20% circa».

Si tratta di un valore decisamente fuori dalla media del periodo, come accennato in apertura.

«Venivamo dall’estate terrificante del 2022 e speravamo che il 2023 avrebbe comportato una situazione migliore per i nostri ghiacciai, ma purtroppo la situazione sta solo peggiorando». È questo l’avvertimento che lancia il noto glaciologo Claudio Smiraglia, grande conoscitore della realtà dei Forni, tra i componenti del team che – a nome del Comitato glaciologico – ha condotto lo studio.

La drammatica previsione

Trarre le conclusioni è facile, quanto doloroso. «Un incremento così importante, unito alla frammentazione del ghiacciaio, all’aumento delle finestre rocciose emergenti e della copertura detritica sopraglaciale, suggerisce che entro il prossimo decennio il ghiacciaio possa radicalmente modificarsi arrivando a perdere la continuità della lingua ablativa con il corpo centrale», concludono gli esperti che hanno lavorato alla ricerca.

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