Gli argomenti dei nostri politici e la lingua latina

Premesso che al Crocifisso, più che giovare, nuoce quello (stonato) do di petto televisivo del ministro La Russa, mi sembra più rispettoso, per semplici ragioni di cronologica precedenza, spostare il discorso sulle “radici linguistiche” dell'Europa, che, date alla mano, vengono prima delle “radici cristiane”. Cesare (m. 44 a.C.), Cicerone (m. 43 a.C.), Virgilio (m. 19 a.C.), Orazio (m. 8 a.C.), per citarne solo alcuni, sono scrittori che vengono prima dell'anno zero, cui va  aggiunto il diritto romano: tali scrittori e tale diritto usavano il (pagano) latino. E mentre dalla Chiesa ci aspettiamo un po' più di riconoscenza per averle prestato la lingua latina, dai politici ci aspettiamo che la valorizzino maggiormente, a ricordarci che le parole che ci escono di bocca o di penna vengono quasi tutte dall'antica Roma pre-cristiana, e poche dalla posteriore Roma cristiano-cattolica.

Gianfranco Mortoni

Forse i politici non rappresentano la categoria più indicata cui rivolgersi per la valorizzazione del linguaggio. Se c'è chi più di altri lo ha impoverito, sono loro. Esopo diceva che la lingua è la migliore e la peggiore delle cose insieme: dipende dall'uso che se ne fa. Si era sei secoli prima di Cristo, nella Grecia antica, ma è una sintesi che vale anche oggi, nell'Italia moderna. Porta rispetto verso la lingua (e il linguaggio) chi riesce ad esprimere con il minor numero di parole le idee che ha in testa. Purtroppo accade raramente: la verbosità ha spesso la meglio, e ci tocca talvolta seguire tortuosi percorsi lessicali che insopportabili interlocutori scelgono per dirci di non aver nulla da dire. Accade tuttavia anche il contrario: che quando ci sarebbe da levare la voce, molti la tengono spenta. Per convenienza, per opportunismo, per viltà. Non è dunque questione di Roma pre o post cristiana: è questione di come siamo fatti. O meglio: di come decidiamo d'esserlo a seconda dell'indole, delle circostanze, degli umori. Non esiste, verso il latino, una riconoscenza da onorare né da parte della Chiesa né da parte di chicchessia: esiste un problema di conoscenza, e non solo del latino. Se ci fosse più chiaro il passato, saremmo meno oscuri nel presente perché lo capiremmo meglio. Ma d'una tale necessità sembrano ormai curarsi in pochi, sopraffatti dai molti che privilegiano la civiltà del messaggino -ovvero la negazione della lingua- e che quando parlano di radici pensano a quelle degli alberi lungo i viali. Anche questa è una croce, e sta appesa dentro e fuori degli edifici pubblici senza che nessuno chieda di rimuoverla.

Max Lodi

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