Ma se prima che cominci il campionato di calcio si sapesse già quasi con certezza il vincitore dello scudetto la gente andrebbe negli stadi? Magari qualche purista, ma la maggior parte dei tifosi diserterebbe l’appuntamento. Ecco, è quello che rischia di accadere alle elezioni del prossimo 25 settembre. E’ già certo che, con ogni probabilità, sarà il centrodestra a conquistare la maggioranza, si tratta solo di capire con che margine sull’opposizione e non è una questione da poco. Perché se la coalizione del tridente Meloni, Salvini, Berlusconi dovesse portare a casa i due terzi dei seggi, potrebbe approvare le riforme costituzionali senza rischiare il referendum confermativo. In pratica l’Italia potrebbe diventare una Repubblica presidenziale, con il capo dello Stato eletto direttamente dai cittadini, un punto fondante del programma del centrodestra.
Qualcuno potrebbe dire che cinque anni fa alla fine dalle urne non uscì un verdetto chiaro, tant’è che per mettere assieme un governo ce ne volle e si arrivò all’accordo tra Lega e Cinque Stelle legato non a un programma, ma a un “contratto” piuttosto contraddittorio al proprio interno, tant’è che l’esecutivo ebbe una vita non lunga e travagliata.
Il quadro però è cambiato. All’epoca i poli che si confrontavano erano tre e si divisero l’elettorato più o meno in parti uguali. Adesso dopo il crollo annunciato dai sondaggi dei grillini (cinque anni fa i più votati) la situazione è cambiata. L’unico schieramento che può ambire a fare risultato è appunto quello formato da FdI, Lega e Forza Italia. E molto difficile che il Pd attorno al quale Letta ha cercato senza successo di aggregare il maggior numero di alleati possa contrastare il centrodestra, mentre il cosiddetto “terzo polo” costituito da Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda sembra lavorare non per il presente, bensì in vista del futuro e rischia di rivelarsi ininfluente.
Già questo lascia pensare a un ulteriore calo dell’affluenza che andrà a incrementare il partito, che da tempo è di gran lunga il primo anche se non ha rappresentanti in Parlamento: quello dell’astensione. Si spera solo che, a urne aperte, non venga spremuta la solita pattuglia di coccodrilli per piangere lacrime sulla disaffezione verso la cabina elettorale e la crisi della democrazia.
Perché la responsabilità di tutto ciò è soprattutto dei politici. Sia per la loro inadeguatezza rispetto ai compiti richiesti, ma anche per aver fissato regole del gioco che vanno in direzione opposta agli interessi degli elettori. I quali come Fantozzi che è sempre dentro di noi dovrebbero finalmente aver realizzato che sulle leggi elettorali sono sempre stati presi per i fondelli.
Quando tangentopoli era alle viste e montava il grande furore nei confronti dei partiti, avevano dato ai cittadini l’illusione di contare, attraverso i referendum per il maggioritario e la preferenza unica. Poi la politica è ritornata e ha ripreso il sopravvento, riuscendo a far fallire, sia pure per pochi voti, l’unica consultazione popolare che davvero avrebbe cambiato le cose, quella sul maggioritario puro, per confezionare leggi su misura fatte per tentare di vincere o quantomeno di non far prevalere gli avversari. Il cannocchiale, insomma, è stato rovesciato e, non a caso, da lì, è iniziata la fuga dalle urne, dopo che, nella vituperata Prima Repubblica con l’esecrato proporzionale, le percentuali erano sempre attorno all’80%.
Per una delle tante leggi che regolano il voto che si sono alternate negli ultimi due decenni, fu addirittura il suo artefice, il leghista di lungo corso Roberto Calderoli, ad avere lo spudorato coraggio di ammettere che si trattava di una “porcata”. Da lì il nome “porcellum” con cui fu ribattezzata la norma. Quella attuale però è forse anche peggio, perché di fatto svuota gli elettori di gran parte delle loro prerogative e li relega a un ruolo “notarile” di avvallo delle scelte già fatte dai capi partito. L’artefice dell’attuale sistema si chiama Ettore Rosato, ex esponente del Pd passato poi a Italia Viva di Renzi. Ha costruito un meccanismo per cui, con il collegio uninominale nella parte maggioritaria e l’approdo in Parlamento stabilito dall’ordine di lista (non esistono preferenze) in quella proporzionale, non è difficile sapere prima del voto chi ce la farà e chi no.
Non a caso, durante la composizione delle liste c’è già chi si ribella e protesta perché sa già che il posto assegnato non gli consentirà mai di staccare il biglietto per Roma. Per ovviare a questo arbitrio qualcuno ha introdotto meccanismi di pre selezione delle candidature affidate alla volontà popolare. Solo le primarie o “parlamentarie” nel caso dei Cinque Stelle, ma i dati sulla partecipazione non sono mai certi e del tutto trasparenti. Oltretutto questa volta come cinque anni fa, il Pd che pure ha inserito le primarie nel proprio statuto, ha fatto finta di niente. Enrico Letta, come fece cinque anni fa l’allora segretario Dem, Matteo Renzi, ha voluto scegliere una squadra di fedelissime e fedelissimi per non correre rischi.
Gli altri partiti nemmeno ci pensano alle primarie e forse, visti gli esempi, non hanno tutti i torti. Morale: il cittadino elettore trattato come suddito, in buona parte si ribellerà come può. E dato che a fine settembre il clima può essere ancora mite, magari andrà a farsi una gita, salvo poi mettersi lì ad ascoltare le grida di allarme sulle sorti della democrazia in pericolo. Ed è un peccato, perché votare è importante. Più che mai adesso, con le sfide che la guerra e la crisi energetica ci lanceranno in autunno. Sarebbe il caso di avere persone all’altezza e soprattutto il più possibile legittimati. Ma non sarà così, per colpa dei politici. Insomma è il cane che si morde la coda.
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