Nella primavera scorsa, in occasione del trentennale della morte di Berlinguer, si sono spesi fiumi di parole - in buona parte consone e accompagnate da un film documentario celebrativo e malinconico - sulle qualità umane e politiche dell’ultimo vero leader del Pci.
In verità, qualche giornale di destra - sempre che in questo paese la parola destra abbia un senso ed esista qualcuno in grado di rappresentarla – aveva fatto emergere alcuni lati negativi e regressivi di un politico decisivo per la storia dell’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta. Non insistendo abbastanza, però, sul germe veramente tragico e devastante che proprio Berlinguer ha fecondato, nutrito e irradiato in tutto il suo mondo, creando così una cultura, un modo di vedere e di fare le cose, un a priori, un monolito, un motore immobile nei confronti del quale tutto il resto dell’universo doveva prostrarsi e uniformarsi: il partito degli onesti.
La polemica non è nuova, ma anche i recenti eventi di cronaca sembrano essere messi lì apposta per confermare quanto deleteria sia stata la deriva presa dal Pci – partito peraltro ricco di intelligenze, cultura e idealità, mica come quei quattro barlafusi che l’hanno guidato negli ultimi vent’anni – non solo per la sua stessa sorte, ma per il disastro civico che ha prodotto in larghissime fasce della popolazione italiana. È per questo che la cretinata scappata di bocca a Landini su «gli onesti sono contro Renzi» non va presa sottogamba proprio perché lega paradossalmente a filo doppio una nullità come lui a uno statista, piaccia o non piaccia, come Berlinguer grazie allo stesso approccio moralista, prepolitico e anche vagamente razzista secondo il quale chi non la pensa come lui oggi o come il Pci allora è un ladro.
Ora, premesso che i ladri in Italia sono ben distribuiti in tutti i gangli dell’immane Moloch statale e certosinamente suddivisi tra partiti, partitini e movimenti che manco il ragionier Cencelli avrebbe potuto fare di meglio, questo ragionamento pone l’interlocutore giocoforza fuori dal contesto politico. Che lo faccia Landini, ennesimo epigono degli urlatori televisivi, chissenefrega. Che lo abbia fatto Berlinguer è invece gravissimo.
Ma dopotutto, pensandoci a posteriori, era una scelta obbligata. Nel momento in cui il partito comunista ha capito che non possedeva più gli strumenti culturali per comprendere la modernità e che tutto il canovaccio attorno al quale aveva incavicchiato, con strepitosa strategia gramsciana, la sua filiera di potere basata sull’egemonia su scuola-università-editoria-sindacato-spesa pubblica-protezione sociale stava saltando per aria, ed essendo impossibilitato per ragioni storiche e psicologiche a cavalcare l’onda degli anni Ottanta – «Berlinguer non ha neanche la televisione a colori» diceva con feroce disprezzo Craxi – ha capito che l’unico modo per salvare il proprio ruolo era la delegittimazione morale, etica e, appunto, prepolitica degli avversari.
Non importavano le loro ricette o le loro idee perché comunque quelli erano dei banditi. E che in parte lo fossero per davvero cambiava ben poco, perché in quel modo tu ti rinchiudi dentro una torre eburnea di supposta e algida perfezione al confronto della quale tutto il resto è palta, mota, spurgo di fogna. Noi puri. Loro laidi. Loro criminali. Noi onesti. Onesti. Onesti.
Il partito degli onesti.
E il concetto è diventato così pervasivo e permeante e assolutorio da trasformarsi subito in carne e sangue del mondo del calcio, notoriamente una suburra fumante senza pari, all’interno della quale sguazzano grassatori, pupazzi, gangster, cialtroni e donne barbute. E dove quindi la retorica sullo “scudetto degli onesti” suscita crasse risate nei più avveduti, benché quest’ultimi siano ben consci che ci sono i picciotti e c’è Totò Riina e che quindi uno che vada in giro a magnificare un pregiudicato radiato come Moggi dovrebbe sotterrarsi per venti secoli sotto venti metri di terra invece che presiedere la squadra più titolata d’Italia. Ma cosa volete farci, sono ragazzi…
E quindi, tornando alle nostre miserie, gli onesti, in quanto onesti, potevano ricevere saccate di soldi dall’Unione sovietica. Gli onesti potevano dettare legge nelle terre rosse usando le cooperative come randello ordinatore. Gli onesti potevano consegnare al sindacato veti spropositati e del tutto illegittimi sulle decisioni di politica economica del governo.
Gli onesti potevano però all’occorrenza consociarsi con i mascalzoni quando c’erano in gioco le quote di potere nelle controllate e nelle partecipate e negli enti locali e nella sanità e nella Rai e, come si vede da mille atti giudiziari, nella spartizione illegale degli appalti pubblici. Gli onesti possono decidere cosa è politicamente corretto e cosa no. Gli onesti ricordano quanto le donne di destra in politica siano, in buona sostanza, tutte quante delle mignotte e quelle di sinistra invece delle madonnine infilzate, nonostante le recenti peripezie di Alessandra Moretti dall’estetista. Gli onesti, soprattutto, possono accettare beatamente che qualche disperato occupi la casa altrui e di non farlo più sloggiare perché in fondo, poverino, anche lui è uno che ha bisogno, sancendo così che pure nell’assegnazione delle case popolari non valgono i codici e le graduatorie, ma la legge del più forte, del più violento, del più furbo. E questa, abbiate pazienza, è una cosa veramente intollerabile. Intollerabile. Gli onesti decidono chi è onesto e chi no, perché loro sono gli onesti che onestamente onesteggiano l’onestà.
Il problema, quindi, non è Landini – che, come diceva Marx, conferma che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa - ma Berlinguer. La sua eredità. Il suo marchio. Il suo tatuaggio. La sua griffe. E fino a quando non sarà stato scartavetrato via dalla testa e dai cuori del mondo di sinistra, la sinistra sarà condannata a perdere. Anche e soprattutto quando vince.
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