Non credi veramente alla storia del mondo reale dei cittadini e di quello virtuale della politica fino a quando non partecipi a una serata nella quale la donna che ha affossato i clan della ‘ndrangheta in Lombardia e che da 25 anni combatte la criminalità organizzata alle nostre latitudini spiega il perché della fortuna della mafia al Nord: «L’assenza dello Stato».
Continui, nonostante questo, a essere scettico di fronte a chi vaticina uno scollamento irreparabile tra “gente comune” e “istituzioni”, fino a quando non assisti al dibattito che nasce tra quella donna e la gente accorsa ad ascoltarla.
Sala consigliare del Comune di Cavallasca, il magistrato antimafia Alessandra Dolci è invitata dal gruppo “Insieme per Cavallasca” a parlare della presenza dei clan sul nostro territorio. Nel suo intervento il pubblico ministero tratteggia un quadro che racconta meglio di mille trattati il perché della disaffezione degli italiani alla politica e alle istituzioni. «Quando per far valere un credito la giustizia civile impiega mediamente 16 anni a decidere, quando per avere un esame medico un malato deve attendere mesi, quando la burocrazia rende difficile l’atto più semplice» è impossibile stupirsi della capacità della ‘ndrangheta di attrarre a sé “clienti”. «Eppure è indispensabile resistere e reagire, e voi, la gente – dice rivolta alle almeno ottanta persone che affollano Villa Imbonati – potete fare molto assieme». Un richiamo che, speri, possa far appello all’orgoglio della legalità e che, invece, finisce per destare più dubbi che adesioni.
È a questo punto che affiora chiaramente l’esistenza di quei due mondi che attraversano la quotidianità come fossero universi paralleli: il primo è quello che, per semplicità, chiameremo il mondo della politica, che abbraccia, però, anche le istituzioni impantanate in regole che, secondo i più, impediscono allo Stato di funzionare. Il secondo è quello dei cittadini, i cui problemi sono forse meno “alti” ma senz’altro più concreti: la violenza dei furti in abitazione, la crisi che taglia i posti di lavoro, le banche che riversano sui correntisti i loro guai, i debitori che non pagano e nessuno che li condanna a farlo. Quei cittadini, ben rappresentati nell’incontro di Cavallasca, hanno esternato, in un confronto aperto e onesto con il magistrato, tutta la loro rabbia, la loro frustrazione, la loro sconsolata sfiducia.
Cambia la scena, non la musica. Bar Cittadella di Como, in un uggioso sabato mattina dopo una notte di furti, gli avventori si accalcano per commentare l’ennesimo affronto dei criminali, che non hanno esitato a lanciare un piccone contro chi cercava di metterli in fuga. Ed è un florilegio di «ormai non ci difende più nessuno», di «se becco un ladro in casa mia io gli sparo», di «anche se li arrestano, il giorno dopo sono fuori». E così ti devi ricredere: i due mondi esistono veramente e, ormai, non si parlano più. In questa “no man land”, lo ha spiegato chiaramente il pm antimafia, la criminalità può affondare più facilmente le proprie radici. L’equazione è semplice, dunque: la politica e, più in generale, le istituzioni dello Stato (la magistratura, civile e penale, le forze di polizia, gli uffici pubblici, gli ospedali, i presidi sanitari) devono ricominciare a parlare la stessa lingua dei cittadini, se non vogliono che la loro assenza finisca per rafforzare i criminali, gli scettici, i delusi. E se non hai mai veramente creduto alla storia della rabbia che cova come brace sotto la cenere, forse è ora di abbandonare le cene di gala e i summit di partito per incontrare faccia a faccia il Paese. Quello vero.
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