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Sabato 12 Maggio 2012
I media in Cina
Liberi contro la sensura
"Ho servito il popolo cinese" è il libro che Emma Lupano presenterà oggi al Salone del libro di Torino sul giornalismo cinese
Tutto cambia perché nulla cambi. Questo viene da pensare a proposito dei media e della politica cinesi rileggendo gli avvenimenti che hanno scosso il paese nelle ultime settimane: l'epurazione di Bo Xilai, il segretario di partito e sindaco "rosso" della città di Chongqing caduto in una lotta tra opposte fazioni interne al Pcc, e la fuga di Chen Guangcheng, il dissidente rocambolescamente evaso dagli arresti domiciliari per chiedere asilo negli Usa e rifugiatosi all'ambasciata americana di Pechino.
<+titolino>Obbligatorio informare
<+tondo><+togli_rientro>Come già in due noti casi precedenti, quelli del premio Nobel Liu Xiaobo e dell'artista Ai Weiwei, sono stati i media occidentali a seguire con attenzione le loro vicende, facendoli diventare volti familiari al pubblico internazionale.
I media cinesi, invece, hanno fatto l'unica cosa che era permesso, anzi obbligatorio, fare: hanno riportato fedelmente le versioni "corrette" dei fatti offerte dalle testate portavoce del partito e del governo. Versioni secondo cui il dissidente Chen Guangcheng sarebbe un traditore al soldo degli americani, mentre Bo Xilai sarebbe stato isolato a causa dei crimini commessi da suoi familiari.
Sembrerebbe così che nulla sia cambiato nel panorama dei media cinesi negli ultimi 30 anni: che le parole d'ordine supreme siano ancora censura e controllo e che il processo di commercializzazione del settore avviato alla fine degli anni Settanta, il moltiplicarsi delle testate, l'esplosione della pubblicità, il fiorire di temi e linguaggi nuovi, l'invasione dell'intrattenimento e del giornalismo "dal basso" di blog e microblog non ci siano stati.
E sembrerebbe che essere giornalisti in Cina significhi ancora soltanto "servire il popolo", cioè fungere da "bocca" del partito.
Ma questo è quanto viene da pensare basandosi sui titoli dei nostri giornali e su quelle storie che, nella versione "corretta" all'occidentale, trovano spazio da noi. Invece la realtà dei media cinesi e della società che essi raccontano è più complessa. E proprio quando ci si sta convincendo che la capacità del partito di imbavagliare sia tuttora l'essenza del sistema cinese, capita di inciampare in articoli che sfidano il potere o denunciano ingiustizie, che indagano in terreni pericolosi o esprimono punti di vista originali.
Vedono la luce non su fogli clandestini, ma su testate stampa, tv e online istituzionalizzate e largamente diffuse a livello nazionale o locale. Testate che su certi temi o in certi momenti devono obbedire agli ordini del potere, ma su altri argomenti o in altre occasioni possono agire come credono.
È per raccontare queste aree di libertà inaspettata che è nato questo libro. Per smontare pregiudizi e mostrare, attraverso piccole e grandi storie, casi da copertina ed esperienze di vita vissuta, che nei media cinesi lavorano anche persone che, senza essere dissidenti acclamati in Occidente, hanno scelto di agire all'interno del sistema con l'obiettivo di migliorarlo, lottando giorno per giorno per ampliare i confini di ciò che è possibile dire.
Come Hu Shuli, la direttrice che con la sua rivista denunciò per prima l'epidemia Sars; Lian Yue, opinionista freelance che scese in strada per manifestare contro la costruzione di una fabbrica inquinante nella sua città; i reporter di Focus, programma di giornalismo investigativo in onda sulla tv di Stato; Han Han, blogger e scrittore idolo dei giovani che fa discorsi in pubblico invocando la libertà di essere creativi. E come i centinaia di migliaia di cittadini-microblogger che, usando i cloni cinesi di Twitter, diffondono punti di vista critici, indiscrezioni e notizie "scomode" aggirando la censura con astuzie tecnologiche e giochi di parole. Non sono schegge impazzite in un sistema altrimenti popolato da grigi servitori del potere. Non sono casi rari. La voglia di esprimersi contagia a volte anche le testate più ingessate, quelle sottoposte al controllo diretto del partito. Anche qui si trovano persone che sentono il bisogno di cambiare il proprio mondo.
Tutto questo non vuol dire che le forze del controllo non siano vive e in gran forma. Come dimostrano i casi di Bo Xilai e di Chen Guangcheng, il partito e l'apparato di propaganda hanno affinato la capacità di colpire selettivamente i personaggi ritenuti più pericolosi. Non solo: alle pressioni del potere politico si sono aggiunte, dagli anni Novanta in poi, quelle dei poteri economici, non meno spietati o pericolosi.
<+titolino>Controllo e apertura insieme
<+tondo><+togli_rientro>Controllo e apertura, però, coesistono, si intrecciano e si confrontano nella Cina di oggi, senza che nessuna delle due tendenze abbia sancito la propria vittoria definitiva. È un fenomeno che riguarda tutti i media: il tg "di regime" convive con i talent show più pacchiani, i commentatori online pagati dal partito intervengono negli stessi forum popolati da voci critiche.
Ammettere che le semplificazioni mal si adattano all'ambiente cinese e sforzarsi di guardare più da vicino le sue tante espressioni non è un esercizio fine a se stesso. Non solo la Cina, ma anche il suo sistema mediatico si sta avvicinando sempre di più al nostro mondo.
Da tempo le testate e i gruppi cinesi firmano accordi con testate e gruppi americani, europei e anche italiani. Diventa indispensabile sapere chi sta entrando in casa nostra, chi partecipa alla realizzazione dei siti su cui ci informiamo e dei giornali che leggiamo. Se con questo libro avrò aperto qualche breccia, prodotto qualche scintilla, non avrò solo "servito il popolo" cinese, ma fatto anche un favore al nostro. Emma Lupano
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