Cara provincia
Martedì 07 Luglio 2009
I tifosi del Milan da privilegiati a «normalizzati»
Di Berlusconi si può dirne bene o male parlando di politica, ma non si può dirne che bene parlando di calcio
Pino Comolli
Kakà non fu venduto agl’inglesi perché ebbe lui delle perplessità a finire in un club di seconda o terza fascia che non avrebbe disputato la Champions League; perché già si profilava la gratificante alternativa del Real Madrid; e perché anche a Berlusconi, con i traguardi elettorali ancora da tagliare, conveniva rimandare la cessione del suo fuoriclasse. A venderlo, tuttavia, ha fatto bene. Non può esserci in eterno la cuccagna, e se un presidente che per la sua squadra ha speso in vent’anni miliardate di lire e milionate d’euro decide di cambiare strategia, non merita d’essere corbellato. Semmai d’essere ringraziato. Di Berlusconi si può dirne bene o male parlando di politica, ma non si può dirne che bene parlando di calcio. Ha reso il Milan il club più vincente al mondo, e questo basta a riservargli gratitudine perenne. Che poi lui e i suoi collaboratori abbiano commesso errori tecnici, è evidente: basti pensare all’anno scorso, quando conclusero l’inutile acquisto di Ronaldinho, riportarono a casa l’altrettanto inutile Shevchenko e non rafforzarono la difesa. Ma gli errori li commettono tutti, anche quelli che non vincono mai niente o ci mettono due generazioni per vincere qualcosa. I tifosi del Milan sono stati a lungo dei privilegiati: se adesso torneranno ad essere, e magari non definitivamente, dei tifosi uguali agli altri, non hanno da disperarsene. Non è detto che la loro squadra smetta di vincere per i demeriti degli avversari invece che per i meriti propri.
Max Lodi
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