Peccato. Nel fango di Bolzano è affondata l’illusione del Como di salire in B. Una delusione che brucia.
Per i dirigenti. Per i giocatori. Per chi si è sorbito chilometri e acqua e fiele e lacrime in Alto Adige, per chi è solito andare allo stadio e per chi segue le sorti della squadra ascoltando la radio o guardando computer e smartphone. Che non sono affatto pochi, questi ultimi, a giudicare dai numeri da record che ha fatto segnare la nostra diretta on line domenica pomeriggio. Segno che il Como resta comunque un punto di riferimento, una realtà seguita da tanti comaschi al di là degli spazi vuoti al Sinigaglia, al di là dei brontolamenti continui e dei giudizi da bar sport dei soliti incontentabili. Una realtà positiva, che si sta sforzando di ripristinare i legami con la città, di riportare in auge la ricchezza del settore giovanile, di ricreare un clima positivo attorno alla maglia azzurra. Quest’anno non sono mancati gli errori, le scelte discutibili, figlie forse di una certa dose di inesperienza. D’altra parte se si guarda quanto accade in piazze più prestigiose c’è da consolarsi.
Peccato. Nonostante l’ultimo mese di risultati deludenti, e una stagione con alti e bassi, l’ambiente attorno al Como, allenatore in primis, trasudava un ottimismo non del tutto campato in aria per i playoff. L’obiettivo dichiarato era la promozione e davanti a questa prospettiva i tifosi hanno mandato giù le prestazioni sotto le righe degli ultimi tempi. “Si staranno caricando per i playoff”, si diceva. Invece le cronache da Bolzano ci raccontano di una squadra rinunciataria, che ha subìto molto e prodotto poco. Su un campo ridotto a pantano, certo, ma era così anche per l’avversario. E se alla fine è stato soltanto il dischetto a battere gli azzurri, poco più di una fatalità, la ferita brucia ancora di più.
Peccato. L’atteggiamento è stato quello che ha più sconcertato i tifosi. La colpa che imputano all’allenatore in primis, alla squadra, per esteso anche alla società. Se davvero si confidava tanto nella promozione, se la si è sbandierata ai quattro venti, se davvero nell’ultimo mese tutto era finalizzato ai playoff, non si giustifica questa figura da soufflé sgonfiato. Il calcio non è una scienza esatta, d’accordo, non sempre vince il migliore e gioca un ruolo fondamentale la fortuna, che domenica ci ha voltato le spalle. Però dicono che la fortuna aiuta gli audaci, chi va a cercarsela.
Peccato. Perché quella di quest’anno era un’occasione che non si ripeterà più. Non è superfluo ricordare quanto avrebbe significato per il Como la promozione in serie B soprattutto in termini economici. Oltre che di prestigio e di entusiasmo, per tutta la città, che tra parentesi ne avrebbe un gran bisogno.
Invece si resta in serie C. Nella nuova, riformata serie C che torna come prima del 1978: tre gironi da venti squadre. Sotto, non ci sarà più la serie C2, ma direttamente la serie D. Dall’anno prossimo, salire in B sarà assai più difficile: saranno promosse soltanto le vincitrici dei tre gironi e i playoff sceglieranno una tra le tre seconde, le terze e la miglior quarta. Insomma, non si potrà più tentare la promozione arrivando noni. E la concorrenza si fa spietata: ci sono le squadre scese dalla B, ci sono piazze importanti risalite dalla D (Piacenza, Ancona, Pistoia e Lucca).
Motivo in più per mangiarsi le mani. Ma non ci si deve scoraggiare. I miracoli sportivi esistono ancora. Occorre insistere e non mollare, fare tesoro delle esperienze negative per crescere ancora. Forza, Como.
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