Qualcuno potrà tirar fuori la storia del dito e della luna. Perché forse la cosa più importante e significativa della manifestazione di ieri contro l’odioso e censurabile blitz degli skinheads durante la riunione di “Como senza frontiere”, che ha portato la nostra città su tutti i media nazionali e non solo, può non essere stata l’assenza del sindaco e degli assessori comunali ai giardini a lago.
Può starci, ma bisogna anche chiedersi cosa ha rappresentato per l’immagine di Como questa scelta annunciata da Mario Landriscina dopo aver precisato di aver condannato con fermezza – ed è vero – “l’episodio di cui trattasi”, come l’ha chiamato lui.
Andiamo avanti nell’operazione di sgombero di tutti gli equivoci del caso. Quella di ieri è stata un’iniziativa politica, anzi politicizzata, di parte e di una parte che non è quella che esprime la maggioranza da sei mesi alla guida la città. Una trovata, e lo si deve accettare, anche elettoralistica e con obiettivi che andavano al di là del significato sbandierato. Uno di questi può essere la volontà di dimostrare che la variegata galassia della sinistra italica può anche essere capace di ritrovarsi unita e neppure soltanto contro qualcosa, ma per riaffermare i valori che sono alla base della nostra Costituzione che, piaccia o no, è sempre la legge suprema del nostro paese. Un’altra ragione è certo il tentativo da parte del Pd, a pochi mesi dalle elezioni politiche, di recuperare consensi in una delle zone che dopo l’iniziale entusiasmo, sembra aver deciso di voltare più di altre le spalle a Matteo Renzi. L’ex premier, con astuzia politica, ha evitato di sbilanciarsi e si è limitato a sottolineare l’aspetto edificante della manifestazione comasca e a replicare via social agli attacchi di Forza Nuova. Ma poco prima di arrivare in riva al lago aveva dichiarato che “è il momento di partire con la campagna elettorale”.
Insomma, un militante, esponente o simpatizzante di una parte politica diversa da quella del Pd e affini, aveva più di una ragione per evitare la zona del lungolago e magari limitarsi a girare nel perimetro della Città dei Balocchi. Perciò il dottor Mario Landriscina, se non la pensa, come è probabile, allo stesso modo di Renzi o Susanna Camusso, ha fatto bene a scegliere di fare altre cose in questo freddo sabato comasco. Così come la signora Alessandra Locatelli. Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui con la lettura e ricorda l’assunto di partenza di questo articolo si starà chiedendo: e allora? Prima ci dici che l’assenza del sindaco e degli assessori dalla manifestazione va considerata importante e poi quasi il contrario. Già, perché se è vero che il dottor Landriscina, la signora Locatelli e le altre persone della giunta non avevano il dovere di presenziare nella zona del Tempio Voltiano, diverso è il discorso per il sindaco Landriscina, per il vice sindaco Locatelli e per gli altri assessori.
Perché in questa veste tutti loro hanno il ruolo di rappresentanti delle istituzioni, dell’istituzione Comune di Como. E se in città arrivano altri esponenti di istituzioni ,come la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, terza carica dello Stato dopo il presidente della Repubblica e quello del Senato e cinque ministri del governo, un fatto che peraltro ha pochi precedenti dalle nostri parti se si escludono i meeting Ambrosetti, non andare a riceverli rappresenta un atto di scortesia istituzionale. E poiché il sindaco e la giunta sono figure emblematiche de la città: questo gesto finisce per ricadere su tutti i comaschi. Il problema, perciò, non è tanto quello sollevato da Laura Boldrini sull’ipotetica indisponibilità del primo cittadino ad affermare i valori dell’unità, dell’antifascismo e della Costituzione, quanto il vulnus istituzionale derivato da questa scelta.
Landriscina spiega nelle pagine a seguire le proprie ragioni, sottolinea come abbia dato disposizioni perché la manifestazione si potesse svolgere nel modo migliore possibile, ma ribadisce la legittimità della scelta di un sindaco che si definisce espressione “civica” a non prendere parte manifestazioni organizzate da forze politiche come non ha fatto in precedenza con iniziative allestite dai partiti della sua maggioranza.
L’impressione è che il primo cittadino confonda i piani: un conto e quello politico, altro quello istituzionale.
Sarebbe stato sufficiente presentarsi con la fascia tricolore per accogliere la presidente della Camera,i ministri e l’ex premier Renzi, salvo poi allontarsi dalla zona dei giardini a lago per marcare la distanza “civica” dalla kermesse politica.
Forse anche ai tanti cittadini che nei commenti su nostro sito e nei social hanno espresso solidarietà a Landriscina per la sua scelta è sfuggita la differenza. Ma la cortesia istituzionale, anche se non siamo più nella Prima Repubblica, resta un fondamento della convivenza civile soprattutto per chi deve essere d’esempio in una società sempre più lacerata.
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