Questa non era una libreria, era una casa». Vorrei che venisse scritto sulla saracinesca della libreria Meroni quando chiuderà i battenti. Se chiude una libreria, si può alzare le spalle e tirare dritto, in fin dei conti è un negozio come tutti gli altri; se chiude una casa no, perché lì dentro c'era una famiglia, c'era la vita, e quando finisce la vita non si può che essere tristi. Per me la libreria Meroni è stata questo: appena varcavo la porta non sentivo dire «Buon giorno», ma «Ciao Linda». Si parlava di libri, di passioni, di scuola, di politica: entravo per comprare un libro e uscivo con uno scambio di idee e con la borsa piena di autori, alcuni dei quali suggeritimi da Luisa e Florindo. Grazie a loro ho scoperto la trilogia della città di K e l'intera opera straordinaria della Némirovsky. Perché questa è la differenza quando entri in una casa: c'è qualcuno che ti conosce, che si prende cura di te, che conosce i tuoi gusti. Era bello sentire Florindo dirmi «Linda, è arrivato questo nuovo libro sul medioevo» e discutere di gialli, che non mi sono mai piaciuti, con Luisa che è pure riuscita a farmene leggere alcuni. Certo posso sempre contare su internet, ma mi mancherà il fascino di quella piccola libreria in cui trovavi libri accatastati, la lavagna con le novità e i consigli, ma in cui trovavi soprattutto il calore e la preziosità dei gesti e dell'attenzione. Ciao libreria Meroni, compagna di pomeriggi e di libri, mi mancherai tanto.
Linda Cavadini
Gentile Linda,
condivido la sua descrizione della «Meroni» e la dimensione "familiare" di questa libreria che lei ha saputo cogliere e trasmettere con intensità. È proprio qui il cuore del problema: un libro non può essere considerato come un "prodotto", perché ci parla, si fa ascoltare, suggerisce idee, fa discutere, anima il confronto, fa comunità. Purtroppo - se ci pensiamo - questa idea umanistica del libro, che si sposa così bene con piccole realtà come quella da lei citata, si trova in minoranza. Manuali dai titoli urlati, o instant book per un pubblico di non-lettori, orientano oggi le politiche editoriali dei grandi gruppi, a scapito di scelte di nicchia, più attente alla qualità o alla ricerca. Che fare? La risposta si coglie già dalla sua lettera, quando evoca il confronto con suo figlio. Perché le librerie non perdano il loro slancio a fare cultura - sollecitando alla critica, alla scelta, al confronto - diventa cruciale l'educazione alla lettura. Al «piacere» di leggere (come ha scritto qualche giorno fa la narratrice Camilla Baresani sulle pagine culturali de «La Provincia»), unico antidoto alla chiusura di luoghi come la «Meroni».
Vera Fisogni
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