Un bel sogno, magari un po’ sfocato, o un luogo di eterna polemica: per molti Expo si presenta con questo doppio volto a quasi un anno dall’inaugurazione.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, verrebbe da commentare anche di fronte al messaggio intenso e a volte apparentemente dimenticato dell’Esposizione universale. Ma per le aziende, un simile discorso non può valere. Per chi ha investito, trascorso mesi, anzi anni a lavorare in vista della vetrina mondiale, chi ha affrontato duri sacrifici, arriva il momento più delicato. L’adrenalina se n’è andata, ma lo sguardo deve correre avanti: a far crescere ciò che si è seminato quotidianamente. Smantellati i padiglioni, bisogna costruire, far fiorire qualcosa di ancora più importante: ovvero il futuro della propria attività e dei propri collaboratori.
Che cos’è stata l’Esposizione universale per il Lario? Due imprenditori nel settore del verde come Cesare Peverelli e Andrea Pironi l’hanno spiegato bene a un pubblico di appassionati. Una semina nella semina. Con la reputazione, con la tecnologia e la sapienza accumulate, con i risultati già ottenuti in altri ambiti si era attirata l’attenzione dei Paesi stranieri a Expo. Ne è nato un lavoro imponente, prima e durante l’evento internazionale: la manutenzione non è stata sfida da poco in quei sei mesi. Un continuo banco di prova per non fermarsi mai.
Certo, allora c’erano l’adrenalina, l’idea di realizzare qualcosa di unico, lo sguardo della gente. Ma non ci si poteva fermare a tutto ciò: c’era la consapevolezza che appunto questo fosse un seminare ulteriore.
I frutti non arriveranno subito, e probabilmente nemmeno per tutti. Oggi i nuovi traguardi, almeno di questo impatto, sembrano ancora lontani. Realtà come la Peverelli sono già volate a Dubai, dove si terrà la prossima Esposizione universale. Per le aziende italiane, comunque, non sarà né facile, né veloce la conquista di quel palcoscenico. Se però si riuscirà, sarà anche grazie a ciò che si è saputo trasmettere nel corso dei sei mesi milanesi sotto i riflettori dell’intero pianeta.
Ripartire da lì, con molta umiltà, ma tenendosi stretto anche l’entusiasmo che si è rivelato determinante lo scorso anno non solo per Milano. Perché molti hanno respirato un’atmosfera diversa, un orgoglio fresco. Una conferma che qualcosa di eccezionale può avvenire con successo anche nel nostro Paese e ne mostra le doti così spesso dimenticate da noi stessi.
Quest’anno a molti sembra un po’ vuoto, senza una simile spinta, e anche nei commenti a una congiuntura sempre altalenante si sente ripetere di tanto in tanto: «Ora poi non abbiamo più nemmeno Expo». Come se ci mancasse del combustibile per continuare ad andare avanti.
Non è così. Le imprese del verde - uno dei vanti del Lario - ci hanno ricordato che la strada è in salita, certo.
Ma lo sguardo corre in alto più in fretta, come quando ammira (pensiamo agli occhi incantati di Michelle Obama a Rho) quegli orti verticali che stanno conquistando il mondo. Che ci sono porte che si chiudono, come altre che si possono spalancare. Che per mestieri destinati a conoscere il tramonto, ne spuntano altri nuovi e inaspettati, per i giovani. Che tutto si rigenera, proprio come la natura.
Ma - come avvenuto per il verde verticale dal sapore miracoloso nelle nostre città e tra quei padiglioni - alla natura, bisogna dare una mano.
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