Cara provincia
Giovedì 18 Giugno 2009
Il referendum e le scelte della politica
Bisognerebbe riflettere sulla frequenza di tali consultazioni, sugli argomenti proposti, sulla terminologia con cui li si presenta
Il referendum sulla legge elettorale rischia di non ottenere un sufficiente numero di adesioni e dunque di naufragare. Non mi pare che sia questo il modo migliore per valorizzare la partecipazione dei cittadini al voto: non capisco perché un referendum non debba essere considerato valido indipendentemente dal numero di coloro che decidono di partecipare. Si tratta di un’opportunità che la democrazia offre: chi vuole la raccoglie e chi non vuole non la raccoglie. Ma perché privare quelli che vanno alle urne del risultato che emerge? Al referendum ci si può opporre, ma partecipando ed esprimendo il proprio parere contrario a quello di chi lo ha proposto. Forse è un modo di ragionare semplice, però sono i ragionamenti complicati quelli più difficili da comprendere.
Pino Comolli
Ci sono referendum che hanno validità anche senza il raggiungimento del quorum: sono quelli sulla materia costituzionale. Se ne tennero per esempio nel 2001 e nel 2006, ed ebbero esito regolare e riconosciuto proprio non dovendosi superare la soglia del 50 per cento dei votanti. Sono stati gli unici due referendum, dal ’97 ad oggi, a non cadere nel vuoto dell’invalidamento. E su questo bisognerebbe riflettere, cioè sulla frequenza di tali consultazioni, sugli argomenti proposti, sulla terminologia con cui li si presenta. La prima è probabilmente eccessiva, i secondi talvolta troppo tecnici per essere da tutti pienamente compresi, la terza spesso oscura. Va detto tuttavia che l’istituto del referendum non è moribondo come qualcuno sostiene che sia. È stato calcolato che dei 1500 svoltisi a livello nazionale, oltre la metà si è tenuta negli ultimi venticinque anni. Quanto e con quale efficacia vi si ricorra nella Svizzera che noi ben conosciamo, è noto. Ma la Svizzera ha un senso della partecipazione collettiva alla cosa pubblica diverso dal nostro, e certamente non piega le domande specifiche d’un qualunque referendum alle risposte che si attende la politica in generale. In altre parole: non stravolge il significato d’una consultazione, non ne strumentalizza il contenuto. E soprattutto vi aderisce, evitando il subdolo ricorso all’astensione. Nel ’74, quando l’Italia si divise sulla questione del divorzio, i cattolici del sì non vennero invitati a disertare le urne: v’introdussero la scheda, diedero il loro giudizio e persero la partita contro i laici (ma non solo i laici) del no. Tredici milioni di voti da una parte, diciannove milioni dall’altra. Questa è la vera democrazia. Quella era la vera politica. Purtroppo né questa né quella ci appartengono ancora del tutto.
Max Lodi
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